LA CITTÀ BLOCCATA DAI VENEZIANI delle violazioni, che a Trieste si sarebbero consumate contro gli ordini e i patti di San Marco. L’animo turbolento e l’astio antiveneziano di certi elementi portarono più presto che non si pensasse altre noie. Nel novembre del 1600 la città era di nuovo bloccata « per il fomento che da quella città ricevevano le inique operazioni degli Uscocchi ». L’ordine al provveditore generale in Golfo era rigoroso: « stringer maggiormente Trieste dove principalmente intendevano smaltirsi le prede e essere assicurate le persone di quei tristi... incommodare e assediare la città, non vi lasciando entrar né uscir vascello d'alcuna sorta... ». Si venne di nuovo agli accordi, forse anche perché nel 1601 la città fu devastata da un’orrenda pestilenza, che spense ben settanta membri del Consiglio e circa 1500 persone, quasi un quarto della popolazione. Seguì qualche anno di lutto e di riposo. I Veneziani « in gratificazione del signor Arciduca Ferdinando » Vessarono meno le navi o restituirono più facilmente quelle cariche di ferro e d’acciaio o d’altre merci che, per sincero o simulato sospetto di contrabbando, avevano arrestato in mare. Nel 1604 le autorità austriache pensarono anche al porto e venne ordine, che i danari delle mude imperiali e arciducali fossero usati per nettarlo. Il relativo decreto, che mostra quanto il porto fosse meschino e malconcio diceva: « Et perché non soddisfa che solamente le picciole barche possino haver Porto et li Navilli restino in alto Mare, haverete dalli fondamenti a purgare tal porto et tenirete anche netti li Ca-nalli (quelli delle saline) acciò tanto le picciole barche come le grandi in occasione dentro e fuori possino aver corso ». Il commercio però languiva e incancreniva nei contrabbandi o nella disonestà. Due Triestini, di nome Zorzi Bucci e Eletto, denunciarono a Venezia il nome di « quattro scellerati », che, « con la complicità di un pubblico ministro », facevano in quegli anni contrabbando di sale veneto a Trieste. La produzione triestina era poca per sopperire ai bisogni dei Carniòlici e per attirarli nel porto: si rimediava facendo venire di contrabbando quel sale, che, nell’economia in parte naturale del retroterra, era il miglior intermedio degli scambi. Ma i Carniòlici, intanto, ottenevano privilegi di portar vini direttamente dai luoghi veneti. Da Trieste si mandavano « lamentosissime proteste », con richiesta di monopolio per i vini triestini: l’arciduca Ernesto, rispondendo, accu-