270 l’esilio dei napoleonidi popolari erano ancora lontane da ogni sentimento politico e nazionale. Guardavano e vedevano senza intendere. E, quale nel Veneto, anche l’atteggiamento della borghesia era del tutto «costituzionale»: fedeltà allTmperatore, malcontento contro il regime. A rendere tuttavia più intenso il sentimento d’una parte della borghesia, concorrevano a Trieste, in quei primi decenni del secolo, molte occasioni. Una più di tutte, la quale manteneva sempre presenti le memorie dell’èra avanti la Restaurazione. A Trieste s’erano rifugiati alcuni dei Napoleonidi: Elisa Baciocchi e il marito Filippo col nome di conti di Campignano, Carolina Murat col nome di contessa Lipona e Gerolamo Buonaparte duca di Monfort. Erano venuti anche il duca di Bassano, il duca di Padova e Fouché, duca d’Otranto. Sul cadavere di Gioacchino Murat era stato trovato un passaporto bon pour aller à Trieste. Nei pochi anni che passarono a Trieste, i Buonaparte e i loro furono in vivo contatto coi cittadini. Tennero casa aperta e ricevimenti: Carolina nella villa Psarrò, che le aveva venduta la Bacciocchi e che divenne villa Murat e Gerolamo nella villa Cassis (poi Necker), dove interveniva la parte migliore di Trieste. Giuseppe Lucchesi fu molto unito ad essi e fu anche loro avvocato. Sante Romano, di famiglia patrizia triestina, tenne a battesimo, nel 1822, il principe Napoleone Giuseppe, nato allora a Trieste. Nella villa Necker erano nati anche il principe Gerolamo (1814) e la principessa Matilde (1820). Il Tommaseo rammentò una volta tale Antonio Grassi, « patriotta triestino », stato in relazione coi figli di Murat pochi anni dopo la morte del Re. Chi considerila parte importante, che i Buonaparte ebbero in quei decenni nei movimenti italiani, non può svalutare, agli stessi effetti, le impressioni morali e politiche, che suscitavano a Trieste. Vivevano con grande prudenza, perché si sentivano appena sopportati dalle autorità. Erano in fatti rigorosamente sorvegliati dalla polizia e i rapporti segreti dei confidenti li qualificavano con l’attributo: « molto pericolosi », Ripetuti ordini da Vienna impegnavano la polizia a non perderli di vista. Ma è ovvio che la loro stessa presenza era incentivo politico per le idee degli ex-bonapartisti, coi quali non mancavano i contatti.