II. TORMENTO DELLA CITTÀ BLOCCATA dei mancati soccorsi di vettovaglie, Giusto de Giuliani e Cristoforo de Wassermann, due dei più ragguardevoli fautori dell'impero, uscirono in tali parole, che il vicecapitano Bachino impose a loro di tacere, minacciando di dichiararli ribelli e di farli colpire dall’indignazione sovrana. Si direbbe che minacciassero ricorrere a San Marco. Trieste, languente e rifinita, rimaneva ancora senz’armi e senza vettovaglie: sapeva, di contro a lei, le città istriane ben provvedute da Venezia, dedite persino ai commerci e, tolti i disagi naturali della guerra, non soggette a altre sofferenze: al contrario, sempre fresche, armate e pronte a offendere. C’era lì, di faccia, la piccola Muggia, che, pasciuta e armata, non dava pace ai Triestini, sia col mandar guastatori in terra, sia col mandar fuste leggere in mare. Gli eserciti imperiali avevano delle vittorie: ma Trieste non ne sentiva il minimo beneficio. Alcuni coraggiosi padroni di barca s’arrischiavano a navigare senza bolletta veneziana. Qualche nave tentava contrabbandare viveri dalle Marche: ma non sempre sfuggiva alla sorveglianza dei Muggesani e alle fuste del Golfo. Trieste era come un Cristo legato alla colonna, inerme, esinanito, e che tutti potevano percuotere. Anche quei pochi rustici di Moccò, anche quei pochi uomini di Muggia. Non c’era ormai né la voglia, né la possibilità di opporsi. La popolazione di ogni classe stava in tutto passiva. C’era soltanto il rancore contro i colpevoli e, nella massa popolare, che più languiva in tanti guai, anche il dispiacere che mancasse l’occasione di arrendersi, fosse magari al demonio. Il Consiglio, il 20 agosto, fece un altro tentativo e mandò a Massimiliano lo stesso capitano Rauber, con commissione di provare che la città non aveva avuto nulla di ciò che aveva chiesto e di dimostrare sino a qual punto d’estenuazione fosse arrivata. Constatava allora il Consiglio, che ben centocinquanta cittadini (intendi, capifamiglia della classe borghese e nobile) mancavano: alcuni erano morti di malattia, altri erano stati uccisi dagli stradiotti, altri erano fuggiti dalla città. Le morti e le fughe aumentarono alla fine d’agosto, allorché fece la prima comparsa la peste. Tanti cittadini abbandonarono la città che, il 2 settembre, Massimiliano scriveva al Consiglio che Trieste de homini molto rimane vacua, e che, se i nemici l’avessero assediata, non potrebeno quelli che restanogli dentro a quelli nostri nimici iarse alchuna resistentia.