CITTÀ D’iTAIIA LA STAMPA LIBERALE L’animo dei patriotti n’ebbe dolore, poiché essi vivevano con appassionato consentimento le vicende della guerra, dove il fiore d’Italia si sacrificava per l’onore e per l’indipendenza della Patria. Dalla vittoria delle armi di Carlo Alberto o di Venezia attendevano anch’essi almeno l’autonomia. Onde seguivano con angoscia gli avvenimenti, temendo sempre che si chiudessero male. Quando si sparse la voce che l’Inghilterra proponeva il confine dell’Isonzo, tra i patriotti triestini fu un momento di sconforto. « Se l’Italia acconsente a questo sacrificio — scrisse uno — allora bisogna dire che i suoi rappresentanti la tradiscono ». Mamiani, a proposito della stessa voce, scrisse che cedere « una porzione d’Italia » gli pareva sacrilegio. Che Trieste, come l’Istria, facesse parte dell’Italia geografica e nazionale, quindi del paese che dall’esito della guerra attendeva l’indipendenza e l’unità, era sempre nella consapevolezza generale, anche presso i «reazionari» e presso gli stranieri. L’Hagenauer stesso, eletto nel modo che abbiamo detto e fior di conservatore, affermava alla Camera di Vienna (20 luglio) che egli era un deputato d'Italia, Egli usava, sì, un’espressione geografica, ma essa trascendeva di molto l’intenzione dell’oratore, per il grande significato politico che acquistava, giacché, secondo la tesi austriaca, l’Italia doveva finire allTudrio o, al più, allTsonzo. Infatti, i governativi con gli stranieri costrinsero l’Hagenauer a spiegarsi e a giustificarsi. Chiunque allora univa Trieste e l’Italia in un’unità geografica, già per il modo com’era impostato il problema italiano, le accomunava — volesse o no — nelle sorti politiche. Il governo centrale era impressionato. La pretesa città fedelissima non era che una città italiana, eguale a molte altre: anche in essa « l’idra della nazionalità aveva già alzato la sua testa ». L’impressione a Vienna doveva diventare sempre peggiore. Nell’agosto del ’48, essendo stati eletti i giurati e abolito lo stato d’assedio, uscirono a Trieste i giornali più combattivi, il Telegrafo della sera, il Costituzionale del-l’Alpron, la Gazzetta di Trieste, scritta da molti patriotti, quali Giulio Solitro — in strette relazioni con Venezia, dove combatteva suo fratello Vincenzo — Girolamo Fanti, amico di Manin e di Tommaseo, G. Camisani, il Machlig e il Serra vallo. Propugnarono tutti, nella linea segnata dalla Società dei Triestini, la nazionalità italiana — come si diceva — e l’indipendenza d’Italia. Con ardita abilità approfittarono