24 ATTIVITÀ DEL PARTITO VENETO Il capitano Nicolò Rauber, entrato il 5 giugno col vicecapitano Iacopo Bachino de Villani, aveva senza ritardo vietato ogni quistione tra fautori dell’una e dell’altra parte, proibendo ai proscritti rientrati con lui ogni ingiuria e ogni vendetta contro i loro avversari. Era implicita una generale amnistia. Nonostante il proclama capitanale e le sue minacciate esecuzioni capitali, avvennero fatti gravi tra le due fazioni, con tumulti, zuffe e scontri sanguinosi. La città si ritrovò in balìa delle sue dissensioni. I primi giorni di luglio Battistino de Bonomo, suo figlio Francesco e altri cittadini furono sbanditi e confinati a Kamnik, in Carniola. Ma Battistino fuggì e si recò tra i Veneziani a Moccò, donde fece avere rapporti alle autorità veneziane sulle condizioni di Trieste. Queste peggiorarono gravemente perché, chiuse le vie del mare, l’impero non seppe approvvigionare la città e questa, senz’essere assediata, si trovò in preda alla fame. Questa, a sua volta, fu consigliera di ribellione. Infatti, il 20 luglio 1509 si presentarono al Senato veneziano due « nunzii dei Triestini », i quali, sentiti dal Collegio dei Savi e dal Consiglio dei Dieci, dichiararono che la città, angustiata dalla fame, voleva ritornare sotto la signoria di San Marco. Il Collegio e i Dieci « fecero buona ciera » agli inviati triestini e li mandarono in Friuli, per concretare col provveditore dell’esercito il modo come Trieste dovesse capitolare e levare il vessillo di San Marco. Le pratiche col provveditore condussero all’azione. Pochi giorni appresso, alcune navi veneziane si presentarono nel porto e invitarono la città a rendersi. Gli imperiali però rifiutarono e riuscirono a tener chiuse le porte. I Veneziani che, fatto disegno sopra l’ambasciata dei due nunzii triestini (ottimisti come tutti i cospiratori e come tutti gli esuli), erano venuti con poche forze, si ritirarono, promettendo di ritornare. Se il Contarini si fosse presentato con mezzi sufficienti a spezzare le prime difese degli imperiali, la città gli sarebbe venuta nelle mani come l’anno prima e, forse, molto più facilmente. Essa non aveva truppe, né armi, né viveri, né danari. Il Consiglio costringeva gli ebrei a versar danaro per l’armamento e per il fóndaco del grano. Anche i mercanti erano gravati di prestiti forzosi. Si mandava prima Francesco Chiozza, poi Domenico de Burlo, e poi altri oratori all’imperatore. Si scriveva al vescovo Bonomo, che era a Corte. Si mandava Castellano Barbo al