XXIX. LOTTE PER LA LIBERTÀ DELLA NAVIGAZIONE Le titaniche guerre sostenute contro l’impero turco, lo splendore della sua civiltà e dei suoi ordinamenti pubblici e la sua costante opposizione agli Asburgo diedero a Venezia una posizione altissima nell’Italia del Cinquecento; qualcuno, nel 1548, augurò che essa divenisse « padrona di tutta Italia ». I Triestini, per quanto gelosi della loro italianità, non sentivano il valore nazionale di San Marco, né sapevano o potevano apprezzare gli enormi sacrifici che costava alla Repubblica la difesa dell’Adriatico contro i Turchi. Essi mandarono gente loro a combattere i nemici della Cristianità, forse più tosto perché questi erano nemici dell’ Impero e della Dinastia o, meglio ancora, perché dovevano obbedire agli inviti perentorii, che ricevevano: Giusto Coppa condusse una compagnia negli eserciti tedeschi l’anno 1535; Antonio Francol una nel 1558. Anche nel 1566 si levarono soldati a Trieste contro i Turchi. Ma la città, da quando questi non passavano le Alpi, ma devastavano le terre ungheresi e croate o la Dalmazia, tenendo la Bosnia, l’Albania e la Grecia — tutte terre dove essa non aveva interessi — sentiva poco la gravità o l’orrore del pericolo turco. Sentiva più presto e solo le sue proprie miserie. Essa vedeva in Venezia la signora del mare, che non transigeva nel considerare l’Adriatico come territorio suo proprio, e in ispecie lo Stato potente, sotto la cui protezione Carniòlici e Istriani praticavano i commerci a lei tanto esiziali. Non aveva grandi aspirazioni: non passava per il capo d’alcun Triestino la credenza che il suo mandracio potesse svilupparsi illimitatamente. La città voleva non morire; voleva avere quegli sbocchi degli Stati austriaci, ai quali stimava aver diritto per i