DELUSIONI E ESPERIENZE triestino. Si seguirono nella direzione dei lavori un Inglese, il Forbes, l'istriano Girolamo Davanzo, Riccardo Boyen, olandese (che fuggì con la cassa), Pietro Nocetti e il Deichmann, danese. Comandava la flotta, nel 1729, il conte Gian Luca Pallavicini, genovese. Senza gloria invero: le navi ingombravano il porto, impedendone l’escavazione e l’uso commerciale e non avevano alcuna funzione militare. Ma, mentre i commerci non andavano, si moltiplicavano gli attriti tra i cittadini e i forestieri venuti per il commercio. I Triestini, secondo il Marenzi, « molestavano e infestavano «con mille angherie i nuovi ospiti: imponevano tasse, che rendevano costoso il loro soggiorno, chiedevano prezzi enormi per l’affitto di appartamenti e di botteghe, rincaravano i prezzi delle vittualie, rendendo il costo della vita proibitivo. E mettevano in tutto ciò non solo un usuratizio spirito di speculazione, ma anche il malanimo che avevano contro detti forestieri. Vedevano che dal commercio essi, i cittadini, poveri e messi da parte, non traevano verun beneficio e che invece gli altri, se anche mandavano in rovina la Compagnia, non mancavano d’impinguarsi la pancia. Ma più li inaspriva l’insuccesso del porto franco, da cui chissà quali benefici avevano sperati. Gli avvenimenti li smentivano in pieno, poiché mostravano ingiusta e mendace l’accusa tradizionalmente rivolta ai Veneziani. Da secoli pareva sarebbe bastato impedire il dominio delle fuste venete sul mare per vedere senz’altro fiorire la città. Venezia non reagiva più e Trieste per intanto decadeva ancora, non ostante tutti gli apparati del nuovo regime. Una minuziosa e buona legge del 1725 aveva tentato organizzare praticamente l’amministrazione del porto, completando il diploma del 1719; ma, e l’inettitudine dei funzionari e la mancanza degli elementi necessari ai commerci, resero illusoria anche quella legge. La proibizione del commercio minuto era un guaio grosso: non si sarebbe potuto permetterlo almeno per il periodo d’una fiera? Il ferrarese Fortunato Cervelli si fece fautore di quest’idea e ne parlò, nel 1729, alla Commissione aulica. Il Perlas e lo Zinzendorf si mostrarono propensi ad accettarla; Eugenio di Savoia e lo Stahremberg contrarii. Marco Foscarini riferiva da Vienna, che della faccenda non si parlava più. Invece il triste andamento degli affari favorì l’idea del Cervelli. E la fiera, con patente dell’agosto 1729, fu concessa: si sarebbe chiamata di san Lorenzo e si