578 LA DISTRUZIONE DELL’ANTICO Si volle invece che il nuovo centro sorgesse sulle rovine dell’antico, artificialmente provocate. La pittoresca piazza Grande, quale era ancora nel secondo decennio dell’Ottocento, con la caratteristica torre, con l’elegantissimo vecchio palazzo comunale del 1690 (allora Teatro Vecchio), con la gotica chiesa di san Pietro, col palazzo Plenario, col « volto » e con la loggia del municipio, poteva esser perpetuata: sarebbe stata una delizia per le generazioni nuove. Non sarebbe stato difficile salvare una parte delle mura con le torri. Invece su tutte le memorie si accanì una furia distruttrice. Nel 1820 si rovinò la torre di Donota, che aveva un bell’arco gotico. Nel 1822 fu demolito il Teatro Vecchio, senza neces-sità:Jsedici anni dopo cadde sotto il piccone la torre del mandracchio, aljporto. Nella città vecchia si vedevano ancora, nei primi anni del secolo, alti muri di cinta, spazi a uso di vestiboli o d’altro genere, corridoi sotto le gradinate e qualche pilastro mascherato del teatro romano: non ne fu presa alcuna cura e le rovine sparirono sotto la loro miseranda tomba. Si diroccò, senza ragione, nel 1854, l’alta e pittoresca torre di Riborgo. Undici anni prima si era distrutta l’antica abside di San Giusto, coi suoi affreschi quattrocenteschi, per far posto alla squallida e sproporzionata abside presente. Se il capitolo aveva bisogno d’un coro maggiore, bastava trasportare la cattedra vescovile a Sant’Antonio nuovo. Ma allora si abbatteva tutto il vecchio, si voleva far tutto nuovo. Invano si cerca per tutto il laberinto della città vecchia una casa, che abbia conservato architetture del medioevo o del Rinascimento: appena qualche magro resto del Settecento, la meschina porta quattrocentesca della casa natale di Ireneo della Croce, il portone della casa dei Cancellieri, la casa dei Marenzi, due stemmi di quella degli Argento, qualche pog-giuolo in ferro battuto di stile rococò o impero, e del resto nulla. Tutto è sparito, dovunque orride case moderne. I bei pozzi veneziani, che erano nelle piazzette, si sono rifugiati nel Lapidario. Nel Lapidario giace il rosone della chiesa di san Pietro, demolita nel 1867, nel Lapidario le colonne della vicedomineria, distrutta qualche anno prima. Lo sviluppo del piano della città non fu conforme a disegni prestabiliti. Via via che si sentiva bisogno di nuovi quartieri, si creavano in continuazione di quelli già esistenti. Risultarono qua e là aperture irregolari, come la piazza della Borsa e quella di San Giovanni (già criticata dallo Strzygowski), che sono spazi residui male adattati a piazza e non