57^ CONVERGENZA DI ELEMENTI STRANIERI M. Horst e Riccarda Huch. Vi lavorarono scienziati tedeschi, quali il Koch, il Syrski, il Graefie, il Cori, il Moser e il Krebs. Un medico greco di lingua e di casa, Giovanni Vordoni, vi divenne un illustre medico italiano. Il celebre ellenista Coráis quivi menò gli ultimi anni della sua vita, organizzando le scuole della comunità greca. Il boemo Ressel dal 1826 al 1829 vi fece i primi esperimenti per l’applicazione dell’elica alle navi. Soggiornarono a lungo i pittori tedeschi A. Tischbein e G. de Ma-yerhofer. Hans Makart ornò di pitture il palazzo Reinelt. Otto Nicolai quivi scrisse una parte della sua opera II templario. Possono dirsi triestini, perché nella nostra città nati, il maggiore dei viventi artisti drammatici tedeschi, Alessandro Moissi, e l’illustre chimico Vortmann. Triestino per eguale ragione si disse uno scultore slavo, il mediocre Giovanni Rendich. Ma tutte queste personalità non lasciarono traccia del loro spirito in quello della città, prettamente italiana: anzi, i più subirono in essa profondi influssi italiani. Una numerosa impronta hanno lasciata invece gli stranieri nell'architettura e con ciò proprio nel corpo e nella fisionomia della città: traccia inevitabilmente subita, chiamati essendo a lavorare architetti tedeschi dallo Stato, dalle aziende legate al centro di Vienna o da privati di sentimenti non italiani. Il Revoltella fece costruire il suo palazzo (dov’è ora il Museo) dal prussiano Hitzig. Il castello di Miramar (1856) è opera dell’architetto Carlo Junker. Il viennese Flattich costruì la stazione della Meridionale. Enrico Ferstel, viennese anche lui, elevò nel 1883 le poderose masse architettoniche del palazzo del Lloyd. Assolse il suo compito da professore tedesco, con molta avarizia di buoni materiali, Francesco Setz, che fece nel 1894 il palazzo della Posta. Non meno professoresco Emilio Artmann, autore del palazzo della Luogo-tenenza, ora Prefettura, compiuto nel 1905, « architettura di forme italiane, di colore orientale e di spirito tedesco ». I Parisi chiamarono il viennese Schlacher a eseguire la loro sontuosa dimora. Giova tuttavia rilevare che, per quanto poterono, quegli architetti tedeschi, consapevoli di lavorare per una città italiana, si ispirarono al Rinascimento, alterandone le forme secondo la loro visione di stranieri, ma pur sempre lasciandolo vedere nel complesso delle loro costruzioni. Soltanto la Zimmermann di Amburgo si tenne al gotico più puramente tedesco, elevando l’elegante chiesetta « evangelica ».