LA VIOLENTA VENDETTA DEI CARNIOLICI 73 Le autorità di quella regione e quelle della Carinola levarono alte grida, mandarono oratori a Corte, accusando i Triestini di ribellione, di saccheggio, di omicidio. L’Imperatore prestò l’orecchio a quello strepito e provvide le vendette. Furono mandati senza ritardo commissari imperiali nella città, i quali istituirono i processi. Per dodici giorni imperversarono nella città, arrestando moltissimi cittadini, tutti sottoponendo a interrogatorii, molti alla tortura. Alla fine il rettore Belli fu arrestato e con lui altri tre patrizi, Cristoforo Torondolo, Francesco Bonomo, Baldassare Chicchio, assieme a cinque popolari, Pietro Sbardella, Giusto Ciapital, Giusto Furlani, Domenico di Paolo e Bernardo Robez, ritenuti capi della spedizione punitiva, furono incatenati e condotti a Lubiana, dove furono posti di nuovo alla tortura. Si disse poi che nei tormenti avessero confessato di esser ribelli all’imperatore e tutti nove, senz’altro processo, furono condannati a morte. Il fatto gettò la città intera nella costernazione. Il Consiglio scrisse lettere, che sembrano rigate di sangue, per protestare e per chiedere la grazia dei condannati, descrivendo la miseria della poverissima popolazione, dicendo che quei pochi non erano più responsabili di tutta la moltitudine e narrando i patimenti orrendi dei carcerati, ai quali era negato il processo e si era dato il martirio. Due oratori mandati a Vienna non ebbero udienza. Vennero mandati allora l’ormai vecchio Giusto de Giraldi, zelantissimo di Casa d’Austria, e Antonello Francol: ma i due gentiluomini, tirati in un’imboscata, furono uccisi lungo il cammino verso Vienna. Dalla Corte arciducale, dove i Carniòlici rinnovarono le accuse di tradimento e di sedizione, andò l’ordine a Lubiana di eseguire la condanna della decapitazione. I Triestini, in preda a una disperazione che traspare da tutti i documenti, invocarono una sospensione per ricorrere all’imperatore. Due ambasciatori andarono alla sposa di Ferdinando, con l’incarico di dire che, « gettati a terra inanti li sacrissimi piedi della Sua Rev. Altezza, li giudici, Comune, Conseglii con tutto il popnlo della fedelissima città di Trieste, con le correge al collo, con pianti lachrime et suspirii humelemente » esponevano la disperata sorte dei nove cittadini « ritenuti con li ferri alli piedi in carcere angustissima nella città di Lubiana ». Invocavano soccorso, dicendo all'Imperatrice, che avrebbe fatto non solo un beneficio alla città ma anche « una elemosina fioritissima et gratissima al comune et alto Signor