354 LA FLOTTA ITALIANA DINANZI A TRIESTE per così fatti programmi, benché il ’48 avesse suscitato concezioni ben più arcaiche e ben più ingenue. Ma, con la proposizione di tali rivendicazioni, la Società dei Triestini dava un vero contenuto alla politica di opposizione contro l’Austria: se poi il programma si fosse potuto attuare, si sarebbe fatto un grande passo verso un avvenire più luminoso. Questo fu lo spirito animatore dei patriotti, che vollero la Società dei Triestini. Le apparenze furono strettamente legalitarie. Quindi alla presidenza il mercantile e pauroso Kandler, il quale aveva sostenuto che « mantenere Trieste come emporio delle provincie cisda-nubiane era debito d’amore a questa terra al quale ogni altro era secondario», e. che «gli interessi mercantili erano condizione senza la quale non vi era possibilità di vita ». Col Kandler, uomini e fatti capaci di mascherare il vero fine dell’azione, per non esporla alla violenza, alla controazione, e alle persecuzioni dell’Austria. Questa politica a due faccie, diversa nelle apparenze e nella realtà, continuò poi a Trieste e nella Regione Giulia — più o meno strettamente osservata — sino al 1914. Formarono il consiglio di direzione della Società dei Triestini: Costantino Cumano, Gaspare Bonicelli, D. Holzknecht, l’Hermet, Felice Machlig, il Gregorutti, Giorgio Miniussi, il dott. N. A. Levi, il dott. Luigi Dobrilla, F. Ponti, il Castagna, Carlo d’Antonio Fontana e G. N. Premuda. Era segretario Giovanni Ressmann. Un avvenimento di prima importanza avvenne il 23 maggio 1848. Comparvero nel golfo triestino la flotta sarda e quella napoletana, a cui si aggiunsero navi venete. I cuori dei patriotti palpitarono con le più ardite speranze. Quelli degli stranieri cominciarono a spaventarsi. Il Gyulai provvide senza ritardo alla difesa del porto. Ma, per un errore sentimentale e per causa della debolezza generale della politica, che infiacchiva in ogni modo l’azione militare, l’ammiraglio Albini aveva l’ordine di difendersi, ma non di attaccare: diceva la relativa commissione che non si dovevano investire le navi austriache, i cui marinai erano quasi tutti italiani, cioè triestini, istriani e dalmati. E in realtà non furono molestate le navi rifugiate a Trieste, mentre a Venezia si credeva che sarebbe stata bombardata anche la città. Ci fu un tentativo di metter gente a terra, con due imbarcazioni mandate a Barcola la notte del 23 e respinte dai soldati e dai villici slavi. Poi null’altro.