i8 GIOVANNI PACE E BATTISTINO BONOMO lavano la stessa lingua dei Veneziani, che avevano costumi eguali ai loro, che erano da tutto ciò congiunti in una sola stirpe: dovessero perciò rimanere sempre divisi dai Barbari, i cui odii contro gli Italiani erano perpetui. Discorso simile a codesto pensiamo quello tenuto dal provveditore fra le povere, antichissime e sacre arcate di San Giusto. E se questi furono i sentimenti che il Cappello espresse, essi trovarono profonda eco nell’animo dei cittadini. In quegli stessi giorni, in pieno Consiglio maggiore radunato in Palazzo (forse per scegliere gli oratori da mandare a Venezia), Battistino Bonomo «lodò con passione l’Onnipotente Iddio, perché la città era venuta sotto la protezione del vessillo di San Marco ed era stata liberata dalla giustizia e dal governo dei barbari, dichiarando che barbari erano i Tedeschi». Pochi giorni prima, un Triestino aveva pagato con la vita i servigi resi a Venezia: era Giovanni de Pace, decapitato a Lubiana, « per essere stato traditore del Re Massimiliano per le cose di Trieste ». Tutti questi fatti circondano — dinanzi alla nostra moderna coscienza — di una luce splendida la conquista veneziana del 1508 e ne fanno, più propriamente, una bella pagina di storia triestina. Ha particolare significato, in tale rapporto, che, quando morì l’Alviano, componesse il suo elogio in versi anche un poeta triestino: Bernardino de Ro. Si è scritto che il regime di Francesco Cappello fosse tirannico e tormentasse la città. Il Giraldi, a cui si richiama anche Ireneo, non ha parole sufficienti per imprecare contro la crudeltà del provveditore: ma meglio è a dir un can arrabiato. Qual mai Neron 0 qual tiran più fello equiperar potriasi a questo matto che tutto il suo apiacer e suo solazio era facendo de Tergestin stracio? Né il popolo d’Israele sotto Faraone, né Roma sotto Nerone patirono tanta servitudine quanto il stentato popul tergesteo dal Provisor prefacto iniquo e reo.