250 LA « SUDDITANZA ASSOLUTA )> diminuì la relativa esportazione via Trieste. Il transito per alcune regioni, già parzialmente tributarie di questo porto (Tirolo, Baviera, Svizzera, Svevia), per le cure del governo italiano e del francese, era passato a Venezia, Livorno, Genova e Marsiglia. Di più, la città, che non aveva alcun peso di debiti, fu costretta a subire un’alta quota degli enormi debiti dellTmpero austriaco ed essa pesò sui commercianti. Non minore delusione dei commercianti provarono i patrizi conservatori, che amavano la loro municipalità aristocratica, che sognavano i patti del 1382, le divise rosse dei patrizi, le assise del Consiglio ed erano sinceramente italiani. Rimasero più supini gli ultimi rampolli delle vecchie case e certi elementi conservatori a ogni costo. Ma — lasciò scritto il Kandler — « i più rimasero spiacenti di aver preso parte alle esaltazioni di allora e più che tutti quelli che avevano preso le armi... ». Mentre per il Lombardo-Veneto si pensò almeno la costituzione delle Congregazioni centrali, nella Regione Giulia non si volle nessuna rappresentanza: dominò l’assolutismo più rigoroso. Ad una deputazione lombardoveneta, chiedente franchigie liberali, l’imperatore Francesco aveva risposto che non si poteva parlare di costituzione, né d’indipendenza in paese conquistato. Il principio valse molto più duramente a Trieste che altrove: le si chiese un giuramento di sudditanza assoluta. Il problema triestino fu lungamente studiato al Consiglio di Stato tra l’ottobre 1814 e il maggio 1815. Su invito del Saurau furono presentate parecchie relazioni: egli disse però che non intendeva si restaurassero antichi diritti, bensì si studiasse che cosa fosse richiesto dal diritto generale e dall’interesse dello Stato. Egli propendeva a far di Trieste una provincia a sè. La Commissione centrale per l’ordinamento dellTmpero voleva farne una città e prendere in considerazione soltanto quei principii, che avessero attinenza al commercio. I consiglieri Atzel e Bedekovich non erano contrari al mantenimento dei privilegi particolari, affermavano però che l’imperatore aveva assoluto diritto di decidere. Francesco I, con una nota di suo pugno, si dichiarava favorevole ai privilegi, se non stavano in contrasto col bene pubblico. Altri studi e altre discussioni portarono poi alle citate decisioni. La delusione e l’insofferenza generarono vivo malcontento tra i patrizi conservatori. Sorsero reclami, suppliche, lamentazioni, gravami,