RELAZIONI COI LIBERALI NAPOLETANI Venezia e Trieste rimasero passive e immobili durante i moti del 1820-1821. Ma, attraverso le provincie napoletane dell’Adriatico, non pochi legami s’erano formati fra Trieste e i patriotti del Mezzogiorno. Nel 1820-21 i liberali napoletani pensavano alla città adriatica come a terra italiana. Nel 1821, per opera dei carbonari e con adesione del Parlamento radunato in comitato segreto, fu mandato a Trieste il Pisa, come emissario, per eccitare il popolo a scuotere il giogo dell’Austria. Nello stesso anno anche il governo del « Litorale » pubblicava nella città un bando con minaccia di gravi pene contro i carbonari. Ma già nel 1817, pare, era proceduto con energia a Trieste: da indizi si direbbe che sopprimesse allora una vendita Carbonara. Documenti della polizia di Graz e le confessioni d’un cugino arrestato a Zara nel 1820 accusarono d’essere iscritti alla Carboneria, allora e sino dal 1814, Antonio Gadolla e suo nipote Ignazio, stati prima massoni e bonapartisti. Un rapporto del 1821, trovato a Venezia, indicava come sospetto di tener corrispondenza da Trieste coi carbonari di Ferrara, il valtellinese Bo-nacina. Alle sètte doveva appartenere il Besenghi, che, seguendo l’invito dei patriotti — e forse non fu solo — volle recarsi a Napoli: giunto a Taranto, seppe che il movimento era fallito e si portò nel Friuli. La missione dei carbonari napoletani non riuscì a Trieste, come non riuscì nel resto d’Italia. Le notizie della rivoluzione suscitarono grande impressione nel pubblico, ma non fecero proseliti alla causa nemmeno fra i molti sudditi napoletani residenti nella città. Conviene dire, tuttavia, che il Pisa trovasse almeno terreno ospitale, perché, dopo il 1821, vediamo rifugiati appunto a Trieste alcuni dei maggiori uomini del movimento napoletano: Gabriele Pepe, Giuseppe e Alessandro Poerio, il generale Arcovito e Borrelli. Confinati a Graz e a Brünn, essi avevano chiesto di poter vivere a Trieste e, previa consultazione del Re di Napoli, avevano avuto la necessaria concessione dal Metternich. Non bisogna credere che nella nostra città, oltre alle idee liberali, professassero anche idee rivoluzionarie. Essi vivevano con sussidi pecuniarii del governo austriaco, a cui si rivolgevano con umile deferenza. Anzi il Pepe, come appare da un atto del 1822, avrebbe offerto i suoi servizi militari a Vienna. La loro fede trovava però dove