g6 VENEZIA E LA CASA D’AUSTRIA privilegi ricevuti e per le sue condizioni politiche; voleva avere la posizione modesta, ma prospera, che aveva, per esempio, Capodistria. Magari Muggia. Non più in là. Ma, insieme, pretendeva mantenere quel regime portuario, quel complesso di gabelle, quelle tariffe e quei prezzi, che le rendevano impossibile ogni concorrenza coi porti istriani o coi mercanti veneziani, e spingevano i mercanti del retroterra verso il migliore offerente e verso lo scalo meno costoso, per inevitabile legge economica. Venezia comprendeva che la quistione dei confini e quella del dominio adriatico potevano portarla ad una guerra. Vero è che la sua politica tendeva a conculcare la Casa d’Austria in Italia; vero è, altresì, che questo succedeva, non solo per spirito nazionale, ma anche e di più perché Casa d’Austria la premeva sulla frontiera friulana e le contestava le giurisdizioni marittime. Gli Austriaci, d’altra parte, miravano a ampliare i loro dominii italiani, a rivendicare i perenti diritti dell’Im-pero sul Friuli: erano, come diceva nel 1559 Leonardo Mocenigo, « per natura nimicissimi della Nazione italiana » e particolarmente della Repubblica. I confini e il diritto marittimo erano eccellenti quistioni, onde alimentare una vagheggiata guerra di conquista. Il Senato veneziano, invece, alle prese col Turco e saturo di potenza, non avrebbe fatto la guerra se non vi fosse stato tirato per i capelli. Pensava tutti i modi di chiudere le vertenze, che gli Austriaci invece tenevano aperte, e studiava ogni modo di risolvere il problema della Giulia, dove gli uomini politici e militari di San Marco vedevano l’aperta e minacciata frontiera dell’Italia e del loro Stato. Il Senato veneziano, in via di trattative, si sarebbe accontentato del confine dell’Isonzo (benché gli fosse denunziata dai militari la sua grave insufficienza) e d’un’eliminazione pratica di tutte le occasioni di contesa pullulanti nell’Adriatico. Nel 1559, aperte trattative con la Corte di Vienna, il Senato propose come frontiera la predetta linea dell’Isonzo e, offrendo in cambio la cessione di Monfalcone e gran danaro, domandò Trieste, Fiume e gli altri porti addatici dominati dagli Austriaci. Ma la Corte rifiutò. E il Senato rimase a domandarsi come, senza guerra, si sarebbero assicurati allo Stato confini naturali sicuri e a quali lotte l’avrebbe condotto la contesa per la libera navigazione.