40 INFELICI AZIONI DI GUERRA disposti a dar cento vite per la conservazione della città; ma un principio era superiore a tutti: ad impossibilìa nemo tenetur. Essi rappresentavano ormai una minoranza e potevano essere sopraffatti dalla maggioranza: plures vincunt et pauciores supplantantur. Non avevano essi alcuna colpa di ciò che poteva succedere. Il 25 luglio furono inviati all’imperatore Pier Bachino, Giovanni Pagano, Domenico Rizzo, Nicolò Mirissa, Gerolamo Pellegrini e Vitale dell’Argento con l’incarico di mostrare gli enormi danni apportati alla città « barbarico ritu » dai Veneziani, di fargli comprendere l’importanza strategica che Trieste aveva per la difesa dell’Austria e di raccomandargli di aiutare la desolata città, desolatam urbem, ridotta agli estremi. Il 10 agosto, senza risposta e senza successo rimanendo tale commissione, si rivolsero ai commissari di Gorizia, incitandoli a difendere Trieste, importante politicamente almeno quanto Gorizia: dichiararono però che, se la città si perdeva, ciò « si doveva più presto imputar a loro (cioè ai commissari) over a suo rector di qua (il capitano) che ad alcuno del Consiglio ». Il popolo sopportava sofferenze inaudite. Mangiava pane nero e pesante non fatto più di grano, ma di fave, di orzo, di avena e di altre biade. Nelle affermazioni riflettenti l’importanza strategica e politica della città ci sembra di vedere l’ispirazione del vescovo Bonomo e la sua convinzione che essa potesse avere una missione rispetto allTmpero. La sua autorità grandissima e la sue cure riuscirono finalmente a ottenere che si organizzasse la spedizione contro Moccò e contro Muggia. Alcune migliaia di uomini furono messi sotto gli ordini del Frankapan e del Rauber per tale impresa. Moccò cadde ai primi colpi di bombarda il 3 ottobre. A Muggia, invece, l’affare fu più grave. La terra, di cui era anima Giovanni Farra detto Bombiza, resistette con grande valore, a segno che, venuti a essa soccorsi dal mare, dopo tre giorni di assedio (4-7 ottobre) gli imperiali dovettero ritirarsi scornati. Il vescovo Bonomo sperò di portare i Triestini a una bella azione, di riscuoterli dalla loro miseria, dalla loro torpidezza, dai loro rancori. Andò egli stesso in campo coi giudici della città: invero la partita si faceva nello strettissimo interesse di questa. I Triestini, per converso, erano lontani, molto lontani dal vescovo. Presero le armi con lui solo pessimi elementi e questi si condussero nel peggiore dei modi. Lo dice lo stesso Bonomo