IL VASSALLAGGIO VERSO GLI ASBURGO 67 città-stato vassalla: sin dalla prima rubrica la comunità era chiamata res publica, cioè Stato, e l’arciduca non mise mai tra i suoi titoli araldici quello di « signore di Trieste », considerando ancora questa non immediatamente soggetta al suo potere, ma legata alla sua Casa con un vincolo consensuale, con un contratto bilaterale. Una pietra del Lapidario, appartenente circa a questo tempo, mostra lo scudo della Casa tra due della città: è significativo dello spirito d’allora che gli scudi cittadini contengono soltanto l’alabarda e punto l’aquila imperiale. Le agitazioni durarono tutto il tempo che l’Hoyos fu a Trieste, sia tra i suoi fautori e i suoi oppositori, sia, per altre ragioni, tra gruppi diversi di famiglie patrizie. L’Hoyos aveva come sostituto un altro Spagnolo, Giovanni de Latras, che era bersaglio agli odii dei migliori. Nell’aprile del 1550 il Comune lo accusò di violare le leggi, di proteggere i malfattori, di abusare del suo ufficio. Il popolo mormorava contro di lui, faceva discordie e lo investiva anche con grida di protesta sulla piazza. Nel 1551 Cristoforo Belli (figlio di Boncino), cancelliere di palazzo, fu gettato in prigione dal capitano « per essere stato ammutinatore del Popolo ». Le dissensioni si fecero molto violente. Partito il Latras, Domenico Rapicio usurpò illeggittimamente il posto di vice-capitano. Ma egli, insieme a Gian Maria Baseggio (odiatissimo dalla città, perché prendeva sempre le parti degli avversari dei suoi diritti), a Baldassare de Roberti, a Giovanni Bertos e ad alcuni altri, era, come scriveva il vescovo Castilegio all’Imperatore, incaricato e istruito dall’Hoyos per rendere più accese le lotte delle fazioni. E queste non cessavano di dilaniare la città, che gli atti del comune non terminavano di dichiarare poverissima, mancante di tutto, sofferente di continue oppressioni e sventure. Lo stesso vescovo Castilegio era fomentatore di disordini: era violento, tentava usurpare diritti che non gli spettavano, s’inframmetteva contro il Consiglio e contro i rettori. Con versi tristi Andrea Rapicio (figlio di quel Domenico), nell’Histria, mostrava le discordie civili armate e sconvolte nella città natale da una bacchica furia e la città stessa rifinita: Sed mihi vesano rumpuntur corda dolore dum video nostram gladiis civilibus urbem bacchuri atque suis iam dudum viribus haustam...