570 GLI ULTIMI FATTI di palpitante commozione. Giornate strane, in cui si respirava un alito caldo di battaglia e era nell’aria quasi un senso di drammatica grandezza. Ognuno sentiva di dover molto e di valere qualche cosa. Quando si sparse la notizia, che nella città vecchia —ove era stata suscitata un’orgogliosa triestinità, come se il quartiere fosse depositario delle più pure tradizioni cittadine — erano riusciti a primo scrutinio i liberali-nazionali, una folla di popolane accorse alla sede del comitato elettorale, nel ridotto del Teatro Verdi: quivi entrarono cantando un inno nazionale e inneggiando alla Vittoria. Molte di loro avevano i bambini in braccio e li alzavano verso il podio, dov’erano i dirigenti, gridando: xe per lori, xe per lori! Era per i figli che si vinceva, era per i figli che si doveva vincere. Scena di vera grandezza storica, di cui ci commuove ancora il ricordo, mentre ne scriviamo. Certo, chi non ha vissuto dentro la città, difficilmente può intendere come si arrivasse a così imponente movimento di passioni e di lotte, come in una città commerciale e industriale, febbrilmente occupata nei suoi traffici, nei suoi cantieri, nelle sue fabbriche e gelosa dei suoi interessi economici, si giungesse a così eccelse vette dell’idealismo. La città era in stato di guerra nazionale. La offendevano gli stranieri e gli organi del governo. La polizia pareva organizzata apposta per irritare il sentimento e rinfocolare l’odio contro lo Stato nemico. Nel 1912 una bambina quattordicenne, la piccola Settomini, accusata di lesa maestà da un monello sloveno, era stata .gettata in carcere e lasciata per alcun tempo in una cella comune con donne imputate d’infanticidio, di furto e di prostituzione. 11 fatto aveva strappato un grido d’orrore alla città. L’anno della guerra, il 1914, trovò Trieste raccolta, in decisa maggioranza, attorno agli uomini del partito irredentista con una fede incorruttibile, né piegata, né. spezzata. Nel marzo essa diede prova dei suoi sentimenti, mentre l’attenzione internazionale era rivolta al suo porto. Ad accompagnare il principe Wied verso l’Albania, insieme alle navi delle altre potenze, anche l’Italia aveva deciso di inviare l’esploratore Quarto. I patriotti si preoccuparono che la nave italiana non toccasse il porto, affinché la marina nazionale, come non aveva fatto mai sino allora, non ne riconoscesse ufficialmente il carattere austriaco. Di questo si occuparono le persone che erano a Roma, in questo senso telegrafammo da S. Giovanni di Manzano e si fece telegrafare dal regio console. Però,