XXVII. L’ISOLAMENTO POLITICO E ECONOMICO Tutte le speranze che Trieste s’era prese, credendo che una missione le competesse fra l’impero e l’Italia, furono troncate dalla fine della guerra di Cambrai e dai trattati che più tardi la seguirono. Quelle speranze erano state fondate anche sull’opinione che Venezia dovesse uscire vinta e disfatta dalla guerra: invece s’era salvata prodigiosamente e difendeva i suoi possessi e le sue giurisdizioni marittime con la grande arte dei suoi diplomatici. Carlo V aveva promesso nel 1519 che avrebbe trattato coi Veneziani della libertà di navigazione nel Golfo. I capitoli per Trieste, dati ai plenipotenziari che andarono allora a Verona, contenevano infatti la domanda che, in omaggio al privilegio già concesso al Pontefice, anche ai Triestini fosse assicurata piena libertà di navigare senza impedimento in tutto l’Oriente e nel mare Adriatico, con le Marche e col Regno delle Due Sicilie. Nel 1520 gli ambasciatori imperiali chiedevano un’altra volta la a libera navigazione »; ma l’orbita era ristretta solo alle Due Sicilie e alla Marca anconitana. Venezia non ascoltò quell’antifona né allora, né poi: anzi, nel Congresso di Bologna (1529) fece firmare un accordo, il quale, sotto parvenza di lasciare liberi gli altri di navigare, le assicurò la piena integrità di ogni sua giurisdizione, con tutti i diritti di controllo e di gabella. Invano nei suoi gravamina il Consiglio triestino aveva affermato quell’anno che verus et legitimus dotninus maris era l’imperatore. Trieste non ebbe più nemmeno i borghi del Carso — Castelnuovo, San Servolo e Moccò — che, restituiti da Venezia allTmperatore,