42 LA SPARIZIONE DEL PARTITO VENETO Se avessimo materiali documentali per fare la cronaca minuta del quart’anno della guerra, ripeteremmo certo le stesse cose. Cominceremmo intanto col rifiuto opposto di mandare anche solo cinquanta uomini all’impresa contro Monfalcone (marzo 1512) e vedremmo la giustificazione dire che la città era ormai, causa i morti di peste, i morti di guerra, i prigionieri e gli emigrati, « molto nuda di abitanti »; vedremmo poi ripetersi la domanda di armi, di soldati, di vettovaglie e di denaro e rinnovarsi il rifiuto del tributo delle cento orne di vino. Questo si vede nei pochi documenti che ci sono noti. Interessante un conflitto della fine d’anno contro i commissari imperiali, che avevano ordinato di consegnare alcune bombarde. Ricusava la città di essere disarmata e il Consiglio asseriva, che sarebbe uscito dalle mura con le bombarde, se queste fossero state tolte: la città sarebbe caduta in mano ai Veneziani e sarebbe stata da loro distrutta. Ricordava ancora che la città « era molto vuota di popolo » (populo prorsus vacua). Le emigrazioni avevano fatto uscire dalla città, naturalmente, vecchi e nuovi nemici dell’Impero, come si comprende anche dalle confische decretate contro gli assenti. Diminuito, in misura impressionante, il numero degli abitanti, gli imperiali, che avevano chiamato nello smunto Consiglio alcuni plebei di rinforzo, erano rimasti in una posizione imbattibile. Mantenevano, come la nobiltà di Verona, il loro spirito antiveneziano con decisa intransigenza. Nel 1512 Battistino de Bonomo, forse per protezione del vescovo, era ritornato nelle grazie dei commissari imperiali, che volevano mandarlo con un incarico burocratico a Trieste. Chiesero al Consiglio che gli permettesse di rientrare. Il Consiglio non volle deliberare e si rimise al capitano. E il vicecapitano Bachino a nome di questo, rifiutò a Battistino l’ammissione in città, dichiarandolo « traditore e ribelle dell’imperatore ». La tregua del 1512 offrì per la prima volta un po’ di respiro alla miseranda città. Aveva ripreso qualche commercio. Sudditi veneti avevano tentato riaprir bottega nella città, ma i commissari imperiali avevano ordinato di espellerli tutti. Quando, nell’aprile 1513, si ebbe riscontro che dalla tregua si sarebbe tornati alla guerra, il Consiglio dichiarò che i suoi cittadini erano pronti a dare le loro « deboli e devastate fortune » e anche le loro teste per la tutela della città: ma non c’erano soldati, né armi, né munizioni, né vettovaglie... Una squa-