364 UNA PAGINA DELLA « GAZZETTA DI TRIESTE » nazionale, erano rivolti alle sciagure d’Italia. Nessun parola nostra potrebbe raffigurare il patriottismo triestino del ’48 meglio di questa ardente sintesi. Al giornale austriaco che aveva parlato di « partito », la Gazzetta di Trieste rispose che nella città e nellTstria non poteva esserci un « partito italiano », giacché tutto il popolo era italiano. E tutto questo popolo considerava come accaniti nemici suoi gli stranieri domiciliati a Trieste e quivi intenti a snaturare il carattere della città. E tutto questo popolo gridava ad essi che non avevano diritto di chiamarsi triestini. E tutto era rivolto con l’animo più fraterno allTtalia. Così chiudeva l’articolo, ch’è veramente una pagina storica, contro i Tedeschi e gli Austriaci: « Dal dì che prima, involati alle nebbie e alle nevi natie, veniste tra noi, da quel dì sino a oggi, siete forse a noi, anche solo un poco men lontani, men isolati, men nuovi? Se la vicenda della sorte e delle armi vi costringa dimani a cercare il cammino delle cittaduole e dei villaggi materni, dite qual cosa, che non sia nostra, ci avrete lasciato? Il più che duri sarà il giallo e nero, di cui furono dai primi anni contristati i nostri occhi, usi e desiosi in perpetuo del vivo verde dei nostri colli, e de’ candori e de’ rossori del nostro ineffabile cielo. Né già vi odiamo, o odiamo il vostro paese, ma amare, amare supremamente non può l’uom che i fratelli e la terra medesima sua. Siamo di politica austriaca, dico per leggi e per armi siam oggi austriaci; ma delle più aCcese nostre memorie, dei nostri amori più santi, più grandi, delle nostre gioie, de’ nostri lutti, di tutta quanta l’anima nostra siamo italiani, italiani. Da Genova a Messina, da Genova a Venezia, voi tutti che combattete o piangete, siete nostri fratelli del cuore, voi empite le nostre veglie, sedete, primi, sedete soli nel nostro pensiero. E ne’ sogni, vive e vere, quai le abbiam conosciute, ci passan davanti le vostre sembianze, e vi chiamiamo, e vi protendiamo con affanno le braccia. Per voi, o cari, apprendiamo a pregare ai figli nostri innocenti. Se un'orrenda parola vi giunse di noi, se gli iniqui simularono la nostra voce, fratelli, ditela falsa: questa, questa è la nostra. Meditiamo e meditammo le vostre angosce come cosa nostra, le lacrime de’ vostri occhi son lacrime degli occhi nostri medesimi. Che cuor, Milano, fu il tuo, quando l’altr’ieri udisti solinga dalle vuote tue case il passo degli allegri vincitori vestiti a festa, e ti fu detto che sulle tue torri e i bastioni si gonfiavano al vento e svolgevan superbe la coda le lor rifatte bandiere! Quando il clangore delle armi brandite e posate e il romor de’ tonanti cannoni ti richiamò a più infuocate lacrime e ti annunziò pagato il prezzo del sangue! Ma almen tu e le tue sorelle sappiate che si piange per voi anche fuori del vostro ri cinto; che anche qui, come il dovere politico cel comporta più, anche qui, o infelici, si piange per voi ».