PIETRO BONOMO E ANDREA RAPICIO 8l danubiana insieme a suo fratello Francesco e al veneziano Girolamo Balbi. In una raccolta di carmi scritti dai soci di quella Accademia si trovano anche molte poesie sue, tutte latine, che Baccio Ziliotto ha meritamente studiate: alcune poesie amorose (il Bonomo entrò nel sacerdozio dopo aver perduto la moglie, 1493), altre di carattere burlesco, altre ancora di contenuto politico. Se l’arte non ha contraffatto l’animo dell’uomo, questi era uomo gioviale e gentile nella vita ordinaria, violento e appassionato nella politica. Alcuni versi suoi, in cui descrive le bellezze della spiaggia triestina e dei colli vicini, sono veramente ispirati, freschi, saporosi. Visse il Bonomo in relazione con tutti i maggiori umanisti germanici, tra i quali egli, lo scolaro dell’Uni-versità di Bologna, fu un divulgatore di buona scienza umanistica italiana. Anche dotti italiani celebrarono le sue lodi e il suo mecenatismo. Il Goineo chiamava in testimonio l’immortale Iddio per attestare che il Bonomo era « vir piane singularis », un uomo veramente eccezionale. Dei Bonomo va ricordato, oltre a Francesco fratello di Pietro (il magister Italus già citato), un Giovanni, di cui un’iscrizione ricordava a Bologna come avesse retto con onore l’Università nel 1575. La maggior figura, dopo quella del vescovo Pietro, è, anche nelle lettere, quella di Andrea Rapicio (1533-1573), già più volte ricordato, per le sue azioni politiche e per la sua tragica morte. Fu precoce nella poesia, sicché già a diciannove anni (1552) pubblicò a Venezia un volume di versi (Facilioris Musae carminum libri duo) dedicato allo Hoyos. Un codice inedito conserva altre poesie della prima giovinezza. Lo Ziliotto dice che tutta quest’opera è frutto di vuota rettorica. In età giovanile scrisse anche il suo poemetto Histria, che diede alle stampe in Vienna nel 1556 e che poi rimaneggiò completamente. Suasit amor patriae scrisse: infatti una sincera ispirazione d’amor patrio rende nobili e graditi gli esametri latini, anche quando non li sorregga l’arte. Molte parti tuttavia — specialmente alcune descrizioni di paesaggio — sono squisite. Aveva raccolto il Rapicio materiale e documenti per una storia dei vescovi triestini: ma non compì l’opera e il suo lavoro andò disperso. Lasciò ancora, stampata a Vienna nel 1559, un'Oratio de morte Caroli Quinti. È noto che l’Ughelli lo disse « fiore illibato dei più colti uomini » dei suoi tempi. Storia di Trieste, vol. II. 6