CONTINUE PERDITE DEL PARTITO AUSTRIACO pregiudicare in alcun modo i diritti storici della città. I liberali, superiori di gran lunga per ingegno ai governativi, dominarono spesso la situazione. Approfittarono d’ogni occasione per protestare contro il governo, operando soprattutto nel campo dell’autonomia, nel quale i governativi, timorosi di opporsi alle forti correnti popolari, si lasciavano tirare facilmente. Alla fine del 1868 il commissario imperiale, protestando per una discussione svoltasi contro le riforme costituzionali, dichiarò che i Triestini volevano arrivare a una mera unione personale fra l’Austria e la loro città: alla qual cosa, soggiunse, il governo si sarebbe sempre opposto, essendo tale desiderata unione « troppo vicina al completo distacco ». Hermet rispose affermando che i pensieri, se non sono concretati in atto, sono insindacabili. La lotta, non ostante alcune apparenze, era nuovamente perduta per il governo. La situazione era tesa. Il malcontento delle masse acuito dalla crisi economica e dall’introduzione della leva militare obbligatoria. Il conflitto, riconosceva uno scrittore austriacante, era cagionato « dall’attaccamento della maggioranza della popolazione alla propria italiana nazionalità » e agli antichi diritti storici. In Trieste, diceva lo stesso autore, si trovava di fronte « l'idea nazionale coll'idea economica e materiale »: ma vinceva la prima. « No, non negate il fatto del progressivo impicciolimento del partito austriaco...)), esclamava quegli, molto sconsolatamente. Nel 1867 fu avviato processo in contumacia per alto tradimento contro alcuni emigrati: Giuseppe Fabris-Basilisco, Antonio Sossich, Isidoro Antonaz, Antonio de Leis, che nel gennaio aveva consegnato a Udine il vessillo triestino a Giuseppe Garibaldi, e Raffaello Costantini. Non mancarono i volontari triestini all’impresa di Roma. Un comitato s’era costituito anche per raccogliere fondi per l’azione di Garibaldi e per aiutare i volontari. Ne facevano parte Pietro Padoa, Gioacchino Bertin, Michele Eliseo, G. B. Boiti, E. Mattioni e Rascovich, che era l’anima più fervida. Marco Besso faceva parte del Comitato nazionale romano e ne era il tesoriere. Nella campagna romana, intanto, e dentro la Città Eterna, altri pagavano santo tributo di sangue e di eroismo alla causa d’Italia. Alla cascina Glori cercarono la morte, nel manipolo dei fratelli Cairoli, Luigi Vidali e Pietro Mosettig, il quale cadde ferito al fianco di Giovanni. Giusto Muratti, che faceva parte del manipolo glorioso, non combattè