598 LA « MINERVA » - DOMENICO ROSSETTI Il Giacometti era contento di qualche bel successo goduto a teatro, dove sempre gli autori presenti erano festeggiati ben più come italiani che come scrittori; ma in fondo non aveva torto. La vita culturale della città, sia quando Besenghi sferzava a sangue i « Cucibrecchini », sia quando, in tempi recenti, altri sfogava in modo diverso rancori e malumori personalissimi, non fu inferiore a quella generale del Paese, né diversa dalla stessa. Negli ultimi decenni il mantenere questo livello costava una fatica e’un lavoro di gran lunga maggiori, di quanto si possa credere. Basti considerare che la massima parte dei professionisti e degli insegnanti uscivano dalle università tedesche, che le acque adria-tiche della città non sempre bastavano a risciacquare i cervelli tinti di cultura tedesca, e che a tale ripassata era dedicata l’opera d’ogni individuo, con impegno generalmente sentito. Passo a passo, si venne creando un ambiente attivissimo, in cui un inverosimile numero di conferenze pubbliche, i teatri, i concerti e il grande movimento della vita associativa portarono contributo veramente ingente di materia intellettuale. Molto ricco fu sempre il commercio librario. Delle associazioni culturali la principale fu la Minerva, nata, come dicemmo, nel 1809 col nome di « Società del gabinetto di Minerva ». Non sempre egualmente fortunata, essa arrivò tuttavia a oltrepassare il secolo d’esistenza. Il Rossetti le dava, nel 1813, il programma di provvedere « al perfezionamento dello stato della patria ». Essa fu talvolta società di conferenze, tal’altra gabinetto di lettura: non mancò spesso di prendere tono da accademia. Nel 1868 la polizia la definiva « rappresentante delle aspirazioni italiane del partito d’azione (antiaustriaco) nella sfera della più alta intelligenza ». Il Rossetti, ai suoi tempi, vi aveva raccolto i migliori dei modesti ingegni suoi cbetanei. I « minervali » formarono quasi una stirpe letterario-scientifica, e di essi Lorenzo Miniussi (anche poeta dialettale), il de Lugnani (professore e bibliotecario, che per quasi cinquantanni perseverò a far sonetti e canzoni in lode degli Imperatori e dell’Austria), il Rondolini (del quale Besenghi ironicamente sperava contente le nove sorelle e la corte apollinea) e altri producevano versi e strofe, il Frizzi, il Vordoni, il Lorenzutti, il Biasoletto « passatempi » più serii. Certo nessuno era della statura alta di Domenico Rossetti, che fu cittadino incomparabile. Egli era atto a muovere da solo l’ambiente culturale. Era un vero creatore della vita cittadina. Pensava a tutto: