338 OPERA DEGLI STRANIERI E STATO DELLA PLEBE giorni dimostrativi e si mostrava lieto di essere liberato dalla censura, il 21 aveva già un altro tono, era già il composto organo ufficiale. I commercianti austriaci e gli impiegati regi cominciarono a rinnovare il rosario delle promesse snocciolate altre volte: l’Austria avrebbe dato la ferrovia, avrebbe costituito una Società delle Indie, avrebbe aiutato l’impresa di Suez, avrebbe esonerato il paese dal casàtico, ecc. Da parte sua la consorteria del Lloyd, che teneva il monopolio dei cantieri, dominava la navigazione e il lavoro del porto. Uomini senza cuore e senza patria, simili al Bruck, seminarono danaro e veleno tra la classe più bassa della popolazione, nella quale fecero gran propaganda a loro favore e a loro servigio il vetturino Giovanni Birti e certo Ongaro, capo dei « peattai ». Le apprensioni maggiori erano tra i ricchi e troppo numerosi commercianti austriaci (di 171 ditte commercianti all’ingrosso nel 1848 solo 46 erano di Triestini), che tenevano le mani nei tesori del bel forziere adriatico e avrebbero fatto ogni sacrifizio per non vederselo portar via dai « repubblicani » o dai « liberali italiani ». « Tutti questi austriaci qui appollaiati — dice il Polver di Verona, con parole che vanno a capello per Trieste — dovevano perciò falsare il carattere del basso popolo, che traeva da essi facili guadagni... ». A tutti questi malanni se ne aggiunga un altro, forse più grosso degli altri, dovuto aH’imprevidenza dei Veneziani. I quali mandarono a Trieste, proprio mentre speravano che questa potesse insorgere, tutti gli alti e i bassi impiegati, tutti i poliziotti e le spie e sino le truppe cacciate via dalla loro città. Impacchettarono e spedirono tutto questo bagagliume ad aumentare la banda dei nemici della causa nazionale già esistente a Trieste: molte centinaia di facinorosi, uomini, servi ecanaglia deH’Austria. Simile errore d’imprevidenza fu nel dare al Maffei, capitano del piroscafo che portava tutte le autorità austriache espulse da Venezia, l’ordine di ritorno per la flotta, che era a Pola. Il Maffei, triestino, era patriotta e per lui aveva garantito Leone Pincherle. Ma il Palffy e gli altri poterono facilmente persuaderlo ad andare a Trieste prima che a Pola, e a Trieste sequestrargli l’ordine. Non ostante tutto, i patriotti triestini non perdonarono più al Maffei la debolezza d’allora e egli pochi giorni dopo, minacciato nella vita, dovette fuggire con nome falso a Lubiana. Poi condusse una vita dolorosa, mentre era abitudine