VENEZIA E TRIESTE 293 rale, la Lombardia: era un favore manifesto, che non poteva non danneggiare Trieste, costituendo per la sua pretesa « rivale » una situazione particolarmente privilegiata. 1 Triestini non se n’ebbero a male: essi considerarono il beneficio di Venezia come utilità nazionale. Nel 1844, facendosi le prove di un piroscafo lloydiano, il Trieste, furono invitati moltissimi Veneziani, che vennero a Trieste, accolti con grandi feste e con affettuose dimostrazioni. Due anni dopo, duecento tra i migliori cittadini si recarono a rappresentare Trieste a Venezia e a Vicenza per l’inaugurazione della ferrovia. Furono veramente giornate di feste nazionali, fraterne, comecché si facessero sventolando i colori dell’Austria. Si accusò il Bruck, il mercante germanico ex liberale, che aveva preso la direzione del Lloyd, di lavorare contro gli interessi delle altre città italiane. A Trieste, ma non solo dal Bruck, si lavorava a non far decadere di più i commerci, che già subivano tante concorrenze e così pesanti crisi. Nessuno pensava, per quanto appare dagli atti, a lavorare ai danni degli altri. Ciò nonostante le beghe fra Veneziani e Triestini non mancavano: il Raumer confrontava quei dissidi a quelli esistenti fra Bristol e Liverpool. Anche per quel Tedesco, dunque, i dissidi veneto-triestini non avevano carattere politico o nazionale, ma unicamente economico. Il Raumer fece accurate inchieste e imaginò il dialogo d’un Triestino e d’un Veneziano sulle ragioni delle loro querimonie. Nel dialogo, veramente oggettivo, il Veneziano cercava di provare come Trieste fosse favorita in ogni modo: il Triestino, invece, rispondeva che la sua città non aveva né le comunicazioni, né il porto, che Venezia stava per avere con la ferrovia e coi lavori di Malamocco; che la navigazione era regolata da eguali leggi a Venezia e a Trieste; che i 50.000 abitanti di questa pagavano una somma di tasse molto superiore a quella pagata dai 120.000 Veneziani. Alla osservazione che a Trieste c’era il benessere, mentre a Venezia c’era la povertà, il Triestino rispondeva che nella sua città si lavorava, a Venezia si stava nell’inerzia. Il che doveva riconoscere nel 1847 anche il Manin, il quale pubblicamente diceva: « Gli interessi nostri non possono non essere sovente in lotta con quelli di Trieste: pareggiamo le armi. Quivi abbondano i capitali: ivi fruttano. Qui non si arrischia, ma non si lucra: ivi i fallimenti di alcuni, ma la prosperità di molti ».