i6o Conquiste all’ignoto con un fanale per vigilare i bordi del ghiaccio in sussulto che si spaccava, si rinsaldava senza tregua come per continuo terremoto alla livida luce d’un’aurora boreale. Il silenzio di quella solitudine era rotto da rombi sordi, come frastuono di invisibili convogli in movimento; pressioni improvvise, schianti e stridori metallici. L’uomo solitario trepidava che un disastro facesse naufragare la spedizione appena iniziata. Accucciati qua e là i poveri cani avevano perfino rifiutato ogni cibo e guaivano lamentosi. Daz rimase morto stecchito dal gelo. Al primo conforto della luce che rivelò la ghiaccia rumoreggiante come un mare in burrasca, Cagni ordinò l’avanzata per uscire dalla zona più infida: il cammino fu scarso e penoso per l’ostacolo di grossi “hummocks” sconvolti ed un vento tagliente che gelò a tutti o le dita o i piedi o i nasi o le orecchie. Solo Cagni riuscì a dormire al termine della seconda marcia perché non riposava da quarantott’ore. Ma poi le eccessive sofferenze generali lo indussero, dopo un penoso combattimento interno, a ordinare il ritorno al capannone « vincendo il puntiglio del mio amor proprio, per attendere alla base che la stagione migliorasse e correggere tutta l’organizzazione secondo l’esperienza compiuta ».