L'AMORE PER LA PATRIA ITALIANA appunto per rinfocolare quell’avversione, la Società dei Triestini faceva una viva campagna contro quell’idea. La città stava in guardia contro gli stranieri. Li teneva distanti da sè, li incitava a rispettarla per essere rispettati. « Viva a tutti! — scriveva il Costituzionale (i. settembre) rivolgendosi con cortese ironia agli stranieri — pensate solo che questa è terra italiana, italiano il lieto mare che la confina, italiano l’animo nostro. Serbate in cuore il tesoro dei vostri affetti nativi, che noi rispettiamo ed ammiriamo. Ma voi frattanto rispettate il nostro amore d’Italia, poiché saremo sempre italiani ». Un altro giornale faceva ben intendere che cosa si intendesse con questa italianità. A un organo tedesco che, trattando dell’Austria e rivolgendosi ai Triestini, aveva parlato di patria comune, la Gazzetta di Trieste (7 settembre) rispondeva con queste precise parole: « Voi parlate di patria comune. Ah! dite comune impero, comune stato politico: ma la patria, la nostra patria, noi l’abbiamo diversa ». La patria dei Triestini era l’Italia, nella loro stessa mente, in quelle ore di risorgimento e mentre storicamente si formava la coscienza unitaria. Per essa palpitavano i cuori, su essa erano rivolti con ansia tutti gli occhi. Da Trieste si mandavano notizie a Venezia, dopo l’armistizio Salasco, avvisando il governo che gli Austriaci, allontanata la flotta dell’Albini, si preparavano a rimettere il blocco alle Lagune. Il Gyulai, ai primi di settembre, si scagliava contro Antonio Zamboni, console pontificio, che aveva accettato lietamente e pubblicamente la Repubblica romana, si firmava console romano e voleva esporre le insegne repubblicane. Un giornale viennese (Allgemeine österreichische Zeitung, 17 settembre) descriveva così la situazione a Trieste: « Dagli ultimi avvenimenti di quella città possiamo concludere che il partito italiano non ha cessato punto di agitarsi con ardore. Ecco qui: risate compassionevoli alla flotta austriaca che appena adesso ha osato uscire; certezza dell’intervento francese; beffe ai diplomatici austriaci giocati da Carlo Alberto e dal Lamarmora... ». Rispondeva il 23 settembre la Gazzetta di Trieste con un articolo, che è una splendida manifestazione dell’anima della città oppressa: commossa e commovente espressione dell’amore con cui gli Italiani di Trieste, sopraffatti e nell’impossibilità di muoversi utilmente a favore della causa