ACCUSE DI RIBELLIONE 123 erano falsi e malvagi. Accusa e difesa erano velenosissime. Per i cittadini il Brenner era un tiranno peggiore che Dionigi di Siracusa: dicevano che, quando non gli riusciva qualche colpo era così violento, che » la continua rabia li faceva mangiare i faccioletti, mordere ciò che tien in mano e giettare la schiuma dalla bocca ». Però anche il capitano non risparmiava le accuse. I fomentatori del populo, che camorristicamente dominavano il Consiglio, erano Nicolò Marenzio, noto omicida, Alvise Capuano, Francesco Francol, Baldisar Giuliani e Domenico Vitali; peggiore di tutti gli pareva il vescovo Marenzi, « la pietra dello scandalo e la sentina dei mali », perchè irritato d’aver dovuto smettere il titolo « conte di Trieste ». L’accusa principale che il Brenner ripeteva sempre, era di ribellione. « In questa giente, diceva, si conservano spiriti e desideri di governare in forma di Repubblica ». Soggiungeva che essi eseguivano ciò che il loro Consiglio risolveva e non i comandi della Maestà e che « in tutti li tempi questi Triestini hano travagliati et inquietati i loro Capitani, à puro fine di regersi da Republicani et di non conoscere li ministri» dell’imperatore. Erano in più tanto « accecati delle loro passioni che tutti li occhiali del mondo non sono bastanti per farli vedere il lume della raggione ». Il capitano passava agli eccessi e offendeva « l’onore dei gentiluomini del Consiglio »: Questi becchi me la pagheranno, disse una volta. Nel Consiglio volavano le offese contro di lui e si votavano e si deliberavano provvedimenti in onta delle sue proteste. Si era arrivati ormai a « gravissime contese », quando la Corte mandò un commissario e questi, nel dicembre 1657, stipulò un concordio tra Consiglio e capitano, rimettendo le cose a posto. Tre anni appresso, l’imperatore Leopoldo venne a Trieste, ove trovò a riverirlo il Caraffa, nunzio apostolico, e Alvise Molin, ambasciatore di San Marco. Vennero poi, per maggiore omaggio, altri ambasciatori veneziani. Come fu ricevuto dalla città? Due scrittori triestini di quel tempo, lo Scussa e Vitale dell’Ar-gento, timorati della Dinastia e desiderosi di guadagnare onori alla città, lasciarono ampie descrizioni, di tipo ufficiale, delle feste che si celebrarono allora a Trieste e delle varie giubilanti solennità. E accentuarono questo tono tanto più volentieri, in quanto Leopoldo confermò anche lui i privilegi e gli Statuti della città. Noi abbiamo, però, la descrizione d’un altro testimonio oculare di quelle feste,