Evasione 107 L’ultimo tratto di ferrovia fu quello percorso da San Francisco a Seattle in prossimità del confine canadese. Qui però gli Italiani furono accolti con evidente ostilità, forse perché erano arrivati già provvisti d’ogni cosa, mentre Bryant, passato poco prima, aveva fatto larghi acquisti. « Tale animosità ci viene dimostrata da una infinità di nonnulla: lo sguardo quasi canzonatorio dei camerieri e dei mercanti, la sfiducia di questi, la scortesia degli agenti della compagnia dei vapori, scortesia che mi fece fare parecchio sangue marcio, e infine un articolo del Seattle Post Intelligencer il quale metteva in caricatura tutti noi e me in particolare per il mio inglese ostrogoto ». Da Seattle a Sitka la spedizione trasportò i suoi bagagli a bordo della “City of Topeka” costeggiando l’Alasca davanti a molti piccoli centri minerari in parte abitati da Indiani, e incontrando gruppi di ghiacci galleggianti. La navigazione lungo i canali dell’arcipelago Alexander ricordò a Cagni l’intricato dedalo della Patagonia: ovunque isole coperte di foreste brune e maestosi ghiacciai scendenti fino al mare. A bordo della goletta “Aggie” rimorchiata dal vaporetto “Bertha” arrivarono nella baia di Jakutat e seppero da un pastore evangelico che la spedizione Bryant era passata da otto giorni: la gara aveva dunque questo svantaggio iniziale a danno degli Italiani. Bisognava affrettarsi e perciò Cagni si spinse subito in barca ad esplorare la costa per cercare questo punto d’approdo al riparo da quella forte risacca che aveva già fatto naufragare sei membri della spedizione Russel. Scelse il luogo presso Punta Mamby e vi sbarcò per primo.