564 LA CACCIATA DEI « REGNICOLI » - L’UNIONE SACRA aziono dei datori di lavoro italiani, affluivano a Trieste in gran numero gli operai « regnicoli ». Vero è che i più militavano fra i socialisti e non si peritavano di far cattiva propaganda, parlando male della « miseria » italiana, che paragonavano col benessere di cui godeva la città. Ma mentre molti erano tuttavia o diventavano buoni patriotti, tutti servivano di compensazione alle immigrazioni slave. Il principe Hohenlohe organizzò una sistematica cacciata dei « regnicoli )>. Essa doveva far posto agli Slavi, ma rispondeva anche a altre ragioni politiche, poiché l’arciduca Francesco Ferdinando era convinto dell’impossibilità di espandere l’Austria nei Balcani, se prima non fosse vinta l’Italia: meditando quindi la guerra col nostro Paese, egli e i suoi collaboratori stimavano necessario eliminare i «regnicoli» da quella regione, che doveva diventare il teatro della medesima guerra. Anche in questo fatto, però, il governatore, non ostante la sua tenacia, fu inferiore alla volontà e alla costanza degli Italiani: benché negli ultimi anni riuscisse a trovare i pretesti per espellere in media cinquanta «regnicoli» alla settimana, nel 1914 ve n’erano a Trieste ancora circa 39.000. Negli ultimi anni l’immissione degli Slavi, pensandosi che lo sviluppo della città non si sarebbe arrestato, dava l’impressione di una minaccia mortale. Le masse slave penetravano da tutti gli interstizi, premute dentro la città dalla forza di tutto l’impero. Gli Slavi, aiutati da tutti quelli dell’Austria, e dalla finanza dei Cechi in particolar modo, sviluppavano una notevole attività finanziaria e economica, con la quale insidiavano la vita delle minori aziende italiane, cercando di guadagnarle, non sempre invano, con prestiti facilissimamente accordati. Le importazioni di Slavi urtarono direttamente gli interessi delle masse italiane. Due volte — nel 1910 e nel 1913 — s’ebbero significanti scioperi nel porto, proclamati allo scopo di eliminare gruppi di braccianti slavi. Questi erano stati iscritti ai nuovi magazzini generali di Sant’Andrea una volta per ordine del governo, dopoché si era detto che non c’era più lavoro per i Triestini; un’altra volta per atto di « crumiraggio » dalla organizzazione operaia slava. In ambedue gli scioperi i lavoratori triestini, sostenuti dalla città, ebbero ragione e i lavoratori stranieri, «chiamati a rubare il pane agli Italiani», dovettero essere rimandati ai paesi, donde erano venuti.