206 LA VITTORIA DELLA CIVILTÀ operando su essi continui e rapidissimi influssi snazionalizzanti. Gli abitanti della città vecchia rimasero immuni da ogni infezione e si tennero, moralmente, in distanza dai nuovi venuti: per essi, i mercanti e i funzionari del distretto camerale o del borgo erano poco meno che dei barbari. Il Comune, tracollante, ora supino, ora ribelle, col suo patriziato vanescente, conservava le sue modeste tradizioni di cultura, il suo spirito civile, le sue scuole. Il governo austriaco invitava il Comune a dedicare per altro uso « più utile » i denari preventivati per l’educazione dei giovani. Resisteva il Comune dentro la linea della sua anti-cata e nobile usanza: quei del distretto camerale, invece, giungevano a rifiutare le scuole come « inutili a gente pratica ». In una contrapposizione così rude lo spirito non poteva non vincere la materia. Gli stranieri potevano venire in quantità: sarebbero rimasti massa brutalmente animata da solo affarismo, su cui, in più del segreto naturale della terra, avrebbero agito infallibilmente i filtri della civiltà italiana, ancorché offerti da gente così modesta. Nella seconda metà del Settecento, specie verso la fine, le immigrazioni si fecero sempre più intense. Rapido fu l’accrescimento della popolazione negli ultimi due decenni: la città contava 17.600 abitanti nel 1785 e 20.300 l’anno seguente; ne aveva 21.900 nel 1789 e arrivava a 30.200 nel 1798. Vennero a Trieste ancora molti Tedeschi, così numerosi e prepotenti, che mancarono poco a portare il borgo nuovo alla germanizzazione. Sorsero vie e case attorno alla città, specialmente nella parte detta ancor oggi « città nuova ». Accorse un’accozzaglia strana e multiforme, così poco attaccata alla città, che in un certo momento parve persino volesse mutarle il nome. Vennero Sloveni, Greci, Serbi, altri Balcanici e Orientali, Inglesi e Olandesi: ma più di questi, Italiani da Napoli, da Genova, da Venezia, da Livorno, dalle Marche, dalle Puglie, dalla Lombardia e specialmente dal Friuli e dallTstria. L’influsso di questi Italiani si aggiunse a quello, che emanava dalla millenaria città, e l’italianità rimase dominante. La lingua italiana fu detta allora « cosmopolitica », cioè usata dalle persone d’ogni parte del mondo venute a Trieste, anche dai Levantini e dagli Orientali. L’antica lingua, a onta dell’uso e della volontà dei Tedeschi di affermare la loro, malgrado l’organizzazione d’una notevole colonia « illirica » (di Slavi della Dalmazia, della Bosnia e del Montenegro) e non ostante l’afflusso babèlico,