78 ACCUSE DI RIBELLIONE E DI TRADIMENTO cima, invocarne la soppressione e mostrare che i sudditi imperiali erano tutti nemici della città e la volevano sottoponer al tutto... a gioghi im-posibili et opprimerla di gravezze intolerabili. Il Römer aveva prevenuto la commissione, annunciandone l’arrivo all’arciduca con una lettera, che è un vibrato atto d’accusa contro la città, detta ostinata, ribelle, sprezzante e disobbediente verso le autorità governative. L’arciduca doveva sapere quanto poteva aspettarsi da simile gente: secondo me, diceva il Römer, «null’altro se non un pericolo al sommo pregiudizievole per i suoi stati ereditari e principeschi e dannoso e minaccioso per tutta la Casa d’Austria ». Egli aveva g’ià avvertito la Corte di questo stato di cose. Ora doveva ritornare alla carica. « Si chiamano — continuava il Römer — una Repubblica e perciò tengono molti e strani discorsi ». Ma bisognava andare più in fondo a vedere « se essi avessero autorità di tenersi alla forma di repubblica o se più tosto non facessero questo per nascondere e dissimulare la loro malizia e la loro ribellione ». Erano già stati puniti altre volte: ma il perdono delle pene li aveva fatti peggiori e più disobbedienti; se ancora rimanessero impuniti, sarebbero cresciute a loro più alte le corna della massima disobbedienza. Occorreva mutare sistema: al punto in cui si era « Trieste era più libera di qualunque altra città in Italia...». Se le sue terre erano poco coltivate, dava colpa alla città stessa, perché gran parte del suo popolo serviva sulle galere veneziane. Fingeva d’essere povera, per sottrarsi alle tasse: invece le sue rendite potevano sopportare la nuova imposta e si doveva farla pagare. L’arciduca poteva da ciò comprendere quali fossero i sentimenti dei Triestini e doveva « prevenire a tempo ogni tradimento ». Preceduta da tale presentazione, la commissione non ebbe alcun successo. Riportò a Trieste le sue delusioni a fomentare nuovi rancori e nuove fazioni.