64 CARNIOLICI E VENETI CONTRO LA CITTÀ ignote, come contrabbandieri. Il Comune protestava e l’imperatore mandava un ordine. Ma non c’era chi lo eseguisse. La città voleva uscire dalla doppia pressione e ricorreva alla violenza: modo eccellente per non risolvere nulla. L’anno 1541, quando Ìrieste smacco la dieta di Lubiana lasciando vuote le poltrone dei suoi delegati, Carniòlici e Veneziani si accordarono per trovare uno scalo che fosse più vicino alla Carinola che Muggia e Capodistria: scelsero a tale bisogna San Giovanni di Duino (soggetto allora alla Carniola) e vi eressero un mercato, dove si trovarono per scambiare vino e sale con granaglie e con altre merci. La concorde volontà di boicottare Trieste era manifesta: il luogo scelto giaceva nelle immediate vicinanze del territorio triestino, appena fuori dei suoi confini. Il Consiglio maggiore elevò proteste a più riprese, anche perché i Carniòlici portavano direttamente a San Giovanni merci, per le quali i cento vani diplomi imperiali prescrivevano il transito via Trieste. Piati e reclami non giovarono affatto. Allora il Consiglio armò alcuni cittadini: avuti gli ordini, questi piombarono su San Giovanni e distrussero il mercato. Senza vantaggio, perché — denunciata alle autorità imperiali — la città dovette pagare i danni e tenere i cocci. In mare, noie eguali. I Veneziani avevano arrestato alcune barche triestine cariche di olio che venivano da Pescara. L’oratore di Carlo V intervenne a Venezia, ma inutilmente. Qualche miraggio di successo potè lusingare la città nel 1542. Potè credere, cioè, che l’arciduca Ferdinando, mentre male sopportava il dominio veneziano sull’Adriatico e, quel che più montava, frequentemente era in conflitto con la Repubblica per quistioni di confine, associasse le sue rivendicazioni a quelle dei Triestini. Lo stesso anno, tentandosi togliere Marano ai Veneziani, una piccola flotta di guerra uscì da Trieste: due brigantini e una fusta degli arciducali con una barca triestina, comandate da uno spagnolo, don Juan Godinez. Finì male anche la speranza che il porto divenisse base navale degli arciducali. Prima, l’impresa di Marano fiascheggiò; poi, Venezia intervenne energicamente e ottenne l’incondizionato disarmo delle navi. La Repubblica di San Marco era sempre potente: la difesa dell’Adriatico contro i corsari turchi le costava fior di quattrini e di sangue. Non ammetteva che si toccasse la pienezza delle sue giurisdizioni