LO SVILUPPO ARCHITETTONICO 579 vani concepiti come piazze. In generale — con qualche rara eccezione — il piano regolatore non fu sentito quale necessaria opera d’arte. In qualche quartiere si usò anche troppo il rettifilo, in qualche altro si trascurò ogni prospettiva. Ciò nonostante, la città offre prospetti, profili, movimenti architettonici, incroci di linee di notevole bellezza. Qualche problema costruttivo o di viabilità, nelle parti che si arrampicano sulle colline, fu risolto bene. Si gettarono anche dei passeggi molto decorosi. Ma la città è cresciuta in fretta, con una necessità continua di case e di vie, a cui l’attività edilizia a mala pena teneva dietro. Si costruì moltissimo per bisogno di costruire, pochissimo per desiderio d’arte. Lo sviluppo più accelerato s’ebbe in quella prima parte dell’Ottocento, che fu oltremodo povera d’architettura in tutta l’Italia: la seconda fase di maggiore sviluppo operò verso e dopo il 1900, in quel periodo che fu incerto, disordinato e senza carattere in tutti i centri italiani. La città, mentre cresceva e si allargava per opera di mercanti e d’impiegati, vedeva snodarsi l’una dopo l’altra le vie: ma erano più spesso vie povere, anche nel centro, contenenti intere file di case fatte di nude pareti coperte di malta con tre o quattro ordini di piccoli buchi rettangolari a uso di finestre. Una via dopo l’altra, senza architettura, senz’altra ispirazione, che la necessità di far posto per gente non ricca. Fino ai tempi recentissimi stettero nei siti più frequentati, come ai portici Chiozza, al passo San Giovanni o in piazza Goldoni di quelle case di malta: quante ve ne sono ancora al Corso e nelle vie parallele! Nell’ultimo ventennio si costruì con molta cura e sorsero anche parecchie vie nuove: le recenti case, sebbene imaginate in tutti gli stili possibili, cioè senza quell’armonia che avrebbe potuto dare uno stile alla città, tuttavia erano spesso ispirate a criteri di arte e di signorilità. La guerra colse la città in questa fase di sviluppo migliore, che prometteva rinnovare tutto il centro, e l’interruppe. Nei primi decenni dell’Ottocento Trieste, malgrado le vie si formassero di solito senza arte, con le case su citate, parve veramente destinata a dare al suo corpo alcuni tratti di stile unitario, con le linee del nuovo classicismo del periodo napoleonico. Nel 1801 fu compiuto il Teatro Nuovo (ora teatro Verdi), opera di quel Gianantonio Selva, che s’era reso celebre con la Fenice di Venezia: la facciata di struttura assai salda e austera, ricordante quella della Scala, fu almeno modificata, se non del tutto disegnata, da un architetto triestino,