278 L’AGITAZIONE PER LE SCUOLE ITALIANE né luminarie, né poesie, né cantate: mancò anche il tempo per far sorgere a Trieste, nei patriotti e nei migliori cittadini, le grandi, oneste illusioni nate in quell’anno nel Lombardo-Veneto. A capo del magistrato fu messo Muzio Tommasini, di famiglia livornese, insigne botanico, ma non altrettale patriotta, ancorché gli austròmani lo avessero in sospetto. Scrisse il Rossetti che, se la popolazione si rallegrò della nomina, «il governo (due consiglieri eccettuati), la polizia, il vescovo e i pochi loro aderenti vi ebbero dispetto ». Anche l’arciduca Massimiliano sospettava più tardi il Tommasini e lo diceva uomo seduto su due sedie. A formare il corpo dell’i. r. magistrato economico-politico si scelsero, quali assessori, tra altri un ex caporale, certo Sellach, e quell’ex poliziotto Brodmann, che conosciamo. La riforma ferdinandèa si inaugurò con altri fatti non meno significativi. Furono presentate, nello stesso anno 1838, replicate istanze al governo, chiedendo si riaprisse il ginnasio italiano. Si speculò sulle promesse dellTmperatore? Se sì, invano. Le domande furono respinte. Nel 1840 la ferdinandissima «consulta» municipale riaffermò la necessità che si restituisse il ginnasio italiano. Anche tale « desiderio », la cui espressione fu concessa, rimase inesaudito. La politica snazionalizza-trice era un programma immutabile. Onde, come la domanda per il ginnasio, rimase lettera morta quella che un gruppo di cittadini, guidato dal Rossetti, fece nel 1839, Per avere tutto l’insegnamento scolastico italiano. Con tali richieste, con tanta insistenza, benché la massa cittadina rimanesse, come nel resto dell’Italia superiore, quieta e legittimista, si agitava senza tregua una vivissima quistione di nazionalità, si affermava il principio dell’italianità di Trieste. Era opera santa di rivendicazione ed era opera di giustizia. Nel 1840 Domenico Rossetti proclamava: « Non basta per Trieste il ginnasio: l’istruzione in lingua italiana vi è necessaria al pari della sua esistenza ». E il Kandler ribadiva: « La lingua italiana è la lingua dei nostri padri, la lingua nostra, nella quale il nostro cuore sente e la nostra mente ragiona... ». L’anima italiana di Trieste non viveva, tuttavia, in queste sole manifestazioni nazionali, che tenevano aperta la divergenza fra i migliori cittadini e il governo. Dalla coscienza della nazionalità i patriotti traevano i giusti principii. Il buon lievito faceva fermentare le idee dell’indipendenza nazionale. Le sètte continuavano il loro