I « DECRETI HOHENLOHE » - IL CENTENARIO DI VERDI 567 Menesini, raggiunse un maggior numero di voti del socialista (Pittoni) anche nel quartiere operaio di San Giacomo: Pittoni e un altro candidato socialista riuscirono eletti in ballottaggio, unicamente perché gli Slavi accorsero in loro aiuto con tutti i loro voti. L’elezione di Giorgio Pitacco a primo scrutinio sollevò indicibile entusiasmo. Camillo Ara e Carlo Banelli, circondati da uno stuoie di instancabili collaboratori e sorretti da una impetuosa azione della stampa, avevano organizzato la lotta e assicurata la vittoria. Due anni dopo il principe Hohenlohe soccorse con un errore di violenza la propaganda dell’irredentismo, facendo nota all’opinione pubblica internazionale la quistione di Trieste e suscitando un conflitto diplomatico con l’Italia. Egli, sobillato dagli Slavi, impose al Comune, con un decreto dell’agosto, di licenziare i pochi impiegati «regnicoli », che teneva al suo servizio. Reagì il Comune, reagì con violenza la stampa, riuscendo a sollevare contro i « decreti Hohenlohe » l’opinione pubblica del Regno, la quale, a sua volta, costrinse il governo di Roma a prendere posizione. Di San Giuliano, al quale portammo a Vallombrosa il materiale documentario della quistione, e Giolitti, con cui trattò il Mayer, non erano disposti a impegnarsi troppo, per non allargare la fenditura della Triplice: ma il Paese fu profondamente impressionato e, informati anche da inchieste fatte allora e finalmente da tutti i grandi giornali, molti smemorati, molti ignari, molti paurosi, compresero che la secolare partita con l’Austria non era chiusa. Nel marzo del 1913 eravamo riusciti a organizzare una festa d’arte (la prima rappresentazione della Gorgona di Sem Benelli),che fece convenire a Trieste molti insigni giornalisti, i quali, ritornati nel Regno, narrarono e della situazione di Trieste e delle manifestazioni irredentistiche, che vi avevano vedute: le loro calde impressioni d’amore e di stupore rianimarono vecchi rancori, sollevarono nobili passioni. Il centenario di Verdi, celebrato con un innumerevole corteo popolare al monumento che, prima tra tutte le italiane, la città aveva eretto al Maestro del Risorgimento nazionale, fu occasione d’un vero plebiscito d’italianità. Superba fu la dimostrazione fatta nella piazza grande dove, avendo la polizia vietata l’esecuzione del coro Va pensiero..., all’ora in cui l’esecuzione doveva aver luogo si raccolse una moltitudine di forse trentamila persone, che per conto suo cantò e ricantò il bellissimo coro degli schiavi anelanti alla libertà.