LA MO.RTE DI OBERDAN confini presso Buttrio. Essi avrebbero usato dei sentieri nascosti, guidati da contrabbandieri. Chiedeva infine lo stesso Fabris di tener nascosto l'eventuale arresto dei due, affinché egli potesse continuare efficacemente l’opera sua. Giunti il 16 settembre a Ronchi, Oberdan vi si fermò per riposare e il Ragosa proseguì verso Trieste per accordarsi con gli amici che li attendevano. Egli e Oberdan avevano appuntamento in casa Giuseppe Salmona. L’arrivo dei due viaggiatori a Ronchi aveva suscitato sospetti. L’ufficio gendarmeria, avvisato dalle indicazioni di certo Baldassi, volle sapere se i due fossero gli individui attesi dalla polizia triestina. Un gendarme entrò nella stanza dov’era Oberdan: quando questi lo vide, gli sparò contro, ma fu disarmato e arrestato. Gli furono trovate due bombe. Chiestogli a che cosa dovessero servire, manifestò francamente lo scopo e si preparò al sacrificio supremo. Tre mesi dopo, il 20 dicembre 1882, condannato a morte, fu giustiziato con capestro nel cortile minore della Caserma grande. Sul patibolo « emise... continuamente le grida di: “ Viva l’Italia, viva Trieste libera, fuori lo straniero ”, grida che soverchiarono il rullo dei tamburi, finché gli morirono in un rantolo nella strozza ». Così muoiono gli eroi[— disse il comandante la guarnigione generale Kober, a cui pur il giorno avanti, mentre lo visitava in cella, Oberdan aveva sputato in faccia. Quanti ricordano a Trieste quella data, hanno l’impressione che la città vivesse tutto il giorno in un’aria di tragedia. L’Indipendente, il dì seguente, parlò della fermezza incrollabile del giovane, nato fra il popolo e educato alla scuola del dolore, e disse tragica la sua morte. Qualche giorno più tardi ne difese la memoria con un coraggioso e nobilissimo attacco contro i giornali tedeschi, che l’avevano offesa. Un altro giornale, il Cittadino, il giorno appresso all’esecuzione, dopo aver rilevato che invano si era fatto appello alla clemenza dell’Imperatore, scrisse: « Alla città nostra non fu risparmiata la funesta visita del carnefice e l’ombra sinistra proiettata dal gibetto ». Il sacrificio voluto così serenamente fu voce di verità sentita in tutta l’Italia e il nome di Oberdan spaziò spiritualmente per oltre trenta anni su tutte le vie, per le quali la Nazione arrivò alla redenzione delle sue terre. Profonda impressione suscitò il testamento, che si diceva egli avesse scritto a Udine e diretto ai fratelli italiani. In esso, spiegato perché