LA GUERRA E LA SUA VIGILIA 571 se la nave avesse approdato, allora tutti i negozi della città si sarebbero chiusi e la moltitudine popolare, già preparata, si sarebbe riversata sulle rive a accogliere i marinai italiani con una grandissima dimostrazione d'italianità. Crediamo, che, più della quistione di principio, preoccupasse il governo di Roma questa minacciata manifestazione d’irredentismo. La Quarto rimase in mezzo al golfo. Pochi giorni dopo, studenti italiani e studenti slavi si scambiarono delle revolverate nella sede dell’istituto superiore di commercio, i primi essendo inaspriti dal programma panslavistico enunciato in un congresso studentesco di Praga, i secondi essendo organizzati per provocare lo scandalo nella scuola italiana, di cui volevano l’utra-quizzazione. Per il 1. maggio il comitato politico degli Sloveni decise d’organizzare un corteo dimostrativo: la città domandò che si proibisse, il governo volle che si facesse. Quel dì fu tutto un tumulto. Le dimostrazioni si succedettero l'intero giorno. Il corteo di Sloveni dovette essere protetto di quadruplice cordone di guardie. Una banda musicale slovena, che poco dopo l’alba aveva osato attraversare la città, ebbe gli strumenti rotti sulle teste, sui denti e sulle spalle dei suoi componenti. Quanti Slavi furono riconosciuti per la città furono bastonati, malmenati e feriti, alcuni gravemente. Non poco sangue corse in quell’occasione. Fu l’ultima manifestazione. Venne la guerra. L’arciduca Francesco Ferdinando era partito per la Bosnia da Trieste: la sua salma ritornò per la via di mare, attraverso Trieste. Non tutti compresero, che la guerra era imminente: molti credettero finita la politica slava del governo. E per odio contro gli Slavi i funerali dell’arciduca ebbero un concorso di popolo, molto maggiore di quello aspettato. Ma la guerra non trovò la città mutata nella sua anima: quest’era italiana, come forse non mai nella sua storia. Appena le armi furono brandite in Europa, i dirigenti del partito nazionale compresero che era giunta l’ora tanto attesa della redenzione e che l’Italia doveva intervenire nella guerra. Già ai primi d’agosto Attilio Hortis e Giorgio Pitacco comunicavano al governo italiano quale era l’anima e la volontà di Trieste. Ma sino dal 26 luglio, d’accordo con Camillo Ara e con quélTappassionato cospiratore che era Salvatore Segrè, avevamo trasmesso da Venezia telegrammi e lettere incitanti a preparare l’intervento armato dell’Italia nella guerra quel