DIFESA DELLA CIVILTÀ - LE SCUOLE 525 non impedirono alla città d’essere italiana, anzi diremmo quasi — se possibile — d’essere sempre più italiana. Si formò in essa un patriottismo intransigente, intollerante, spesso violento, un culto orgoglioso e gelosissimo dell’italianità, un amore ardente, talvolta quasi ingenuo, della lingua nazionale. L’ultima generazione si sentì sviscerata difensitrice di « venti secoli di civiltà » e, se nell’affermazione di questo principio ebbe espressioni sembrate agli avversari meritevoli di ironie, ne ebbe molte altre, che furono e sono piene di alta significazione storica. Quantunque una minima frazione della borghesia rimanesse attaccata al governo, per quanto una parte delle masse fosse voltata dall’internazionalismo marxista e nonostante irruenti nuclei slavi invadessero la città, non sminuì né l’ardore combattivo, né la fede della maggioranza, che, guidata da sicure coscienze, combatteva per la difesa d’un grande patrimonio nazionale: anzi, si esasperò e s’incandidì nel fuoco ogni sentimento. Onde le lotte politiche ebbero talvolta una violenza acre e livida e gli uomini degli opposti partiti si considerarono spesso l’un l’altro odialmente nemici, abolendo tra loro tutti i contatti non necessari. La migliore propaganda fu fatta nelle scuole primarie e secondarie del Comune, dove gli insegnanti non mancarono mai alla loro missione. Palestra spirituale principale fu il ginnasio-liceo, a cui il governo vietò si mantenesse il nome di Dante Alighieri e dove, benché in tutte le classi, dalle inferiori in su, mille e mille volte si offendesse la Maestà dell’Imperai ore, si pronunciassero ingiurie contro l’Austria, si organizzassero «colpi » contro la polizia o contro gli Slavi e nessuna occasione si ommettesse di esprimere odio allo straniero, in cinquant’anni « nessuno ha mai fatto la spia ». La situazione fu particolarmente difficile dopo il 1900, quando la nuova politica dell’impero cooperò a sviluppare la potenza economica dell’emporio e potè veramente sembrare che, secondo la parola degli austriacanti, la fortuna della città fosse legata a quella della Monarchia. Giornali e scrittori patriottici operarono come poterono per provare che Trieste doveva la sua fortuna alla sua posizione geografica, al valore dei suoi commercianti, alla perfetta organizzazione dei suoi servizi, alle iniziative geniali degli armatori, che in essa cercavano la base della loro attività, e che gli interessi suoi erano in antitesi con Amburgo e solidali con Fiume, Venezia e Genova.