138 VIOLENZE E SOPRAFFAZIONI DEI PATRIZI ignota, e sono per varie cause: vendette politiche, romanzi d’amore, vendette di coloni contro padroni sfruttatori, rancori per processi perduti... Ogni giorno, scriveva il giudice del maleficio nel 1655, succedono e risse e duelli e contrasti. Mentre, quell’anno, le lotte col capitano avevano rallentato ogni autorità, i furti di notte abbondavano... più che gli atomi ne i raggi solari. Nel 1664 fu addirittura uno dei rettori in carica, Nicolò de Marenzi, il noto nemico del capitano Brenner, che per vendetta ferì mortalmente sulla strada un suo nemico, il nobiluomo Francesco de Piccardi. E non era alle sue... prime armi, ché ventun anni prima aveva ucciso in pubblico un patrizio di casa Urbani: stato condannato in contumacia, aveva poi trovato degli amici che, rotto il banco del maleficio, vi avevano rubato il libro contenente la sentenza. I più rappresentativi nella violenza furono sempre i Petazzi, divenuti tristemente celebri per i loro bravi. Ulderico Petazzi, nel 1648, aveva fatto ammazzare in piazza con le archibugiate dei suoi bravi il cavalier del Comune e due birri: il capitano aveva voluto procedere contro di lui, ma le autorità cittadine, malgrado le proteste della Cancelleria aulica, avevano avuto più terrore del prepotente che rispetto del capitano e della legge. Condannarlo, stava bene: ma chi avrebbe eseguito la sentenza? E, peggio, contro chi si sarebbe sfogata quindi la sua vendetta? Oltre tutto, si sapeva che i Petazzi, conti dell'impero, che vantavano nei loro documenti un antenato quale fumatore del documento del 1382 e un altro quale fautore del Luogar nel 1469, erano raccomandatissimi alla Corte. Non c’era da scherzare. Tuttavia il Pe-tazzo finì a Nigrignano per mano di sicari. Nel 1680 «il Pubblico e li privati di Trieste » ricorrevano a Leopoldo « per i continui e esecrandi delitti commessi di tempo in tempo dal conte Benvenuto Petazzi ». Lo aiutava Torrismondo della Torre, duinate, altro cucco della Corte. I loro bravi terrorizzavano la città. Si attribuivano a loro « ottanta delitti principali », nonché pratiche di violenza e di corruzione fatte per impedire il corso della giustizia. Avrebbero potuto compiere una grande opera educativa i Gesuiti. Ferdinando II aveva invitato il Consiglio a ospitarli in città nel 1610: ma, anche per incitamento del vescovo de Berti, avversario dell’ordine, il Consiglio rifiutò di accogliere la società, asserendo che non avrebbe fatto se non gran danni. Nove anni più tardi, essendo arrivati a Trieste