— 16 — nè sperava dal governo tutto personale di un intelligente tiranno, leggi e provvedimenti che migliorassero le condizioni del popolo, cui una empia politica spingeva all’ abbrutimento. Però la tenebra cominciava a dileguarsi; la coscienza della dignità, il desiderio di rivendicare i calpestati diritti dell’ uomo, già tingevano col vivido colore della speranza la notte, che il pregiudizio e l’ignoranza tentavano addensare sugli oppressi. Questi lampi precursori della risurrezione rendevano dubbiosi i despoti e tremanti dell’avvenire. I Lombardi ed i Veneti, governati direttamente da casa d’Austria, confondendo insieme i loro destini si erano conosciuti ed a vicenda apprezzati. Sparite le gare di municipio, stretti si erano ad un patto. Il governo austriaco fu per essi come il crogiuolo in cui si fusero le due provincie, respingendo la scoria degli antichi livori. Già fino dal 1836 i municipi di Milano e di Venezia si erano uniti per chiedere guarentigie e riforme che furono negate. Da quel primo, nessun passo si fece che non fosse in comune. II congresso degli scienziati, che annualmente tenevasi nell’ una o l’altra delle città italiane, produsse risultati eccellenti. Mercè sua si strinsero i nodi di reciproca fratellanza e si spensero le gare municipali. Gli odi antichi furono vinti dall’ idea che solamente 1’ unione di tutti poteva salvare la patria. La massima, adottata dall’ Austria e dai minori principi, di dividere per regnare, che fino allora tanti frutti funesti ci avea recato, cominciò a perdere della sua efficacia, combattuta dalla saviezza del popolo, che a sue proprie spese avea imparato a conoscere le male arti dei governi tirannici.