La morte 465 che animali strani, mostri feroci o mansueti: i delfini giocosi che lo avevano seguito in tante navigazioni, i pinguini urlanti della Terra del Fuoco, le placide, grosse tartarughe che aveva cavalcato nella savana dell’isola Duncan, le foche dello stretto di Magellano, i sinistri avvoltoi svolazzanti sulle torri dei Parsi in attesa dei cadaveri da scarnificare, le vacche sacre delle città asiatiche, i sospettosi elefanti dell’U-ganda, il solitario leopardo affamato preso in trappola a Bujongolo, il leone che aveva rasentato la sua tenda in una notte di tappa africana, i cervi cacciati in Siberia e sulle Ande, il grosso tricheco emerso con un barrito terrorizzante dal ghiaccio della Baia di Teplitz, gli orsi bianchi silenziosi come fantasmi vaganti nel crepuscolo polare. Fra tante creature naturali ricordava ancora le opere dell’uomo: le marmoree architetture di Agra che lo avevano entusiasmato per la loro leggerezza diafana e colorata, e gli scavi grandiosi per il canale di Panama e gli sbalorditivi grattacieli d’America. Poi i fenomeni terribili del mare, della terra e dell’aria: lo sfacelo di Krakatoa distrutta dall’esplosione vulcanica, i festoni iridati delle aurore boreali stesi sul silenzio della banchisa nella notte polare, l’ululare dei cani sotto la tormenta del “drift” soffocante ed il rombo dei ghiacci che si scontravano erigendo dighe sul “pack”, e le allucinanti apparizioni della fata morgana, le fantastiche fosforescenze marine, il lampo dei bolidi, le rapide scie delle stelle cadenti, la penombra sanguigna degli eclissi, e la solitaria Stella polare quasi allo zenit della banchisa e la Croce del Sud scintillante sui mari australi. Si ritrovava immerso nelle bufere attraverso cui era passato incolume, fra le burrasche oceaniche e le raffiche del “pampero”, dei monsoni, degli alisei, della bora, del “ghibli”, lo scroscio dei piovaschi subitanei, fra i sussulti del terremoto di Reggio e il rombo soffocato delle valanghe del Sant’Elia. Lo riassaliva a tratti l’atroce sofferenza del gelo boreale, lo strazio lancinante del dito tumefatto, l’arsura della febbre africana, il languore della fame fra le raffiche delle bufere sul “pack”, il sentore nauseabondo del “pemmican” e della carne semicruda dei cani. Si trovava sperduto fra il tumulto delle folle cinesi e fra le dimostrazioni guerriere di quelle giapponesi in faccia al profilo nevoso del gran 30.