Naufragio >47 « Ci sembra ora di rivivere a poter camminare sul ponte, sederci a tavola e trafficare sul bastimento senza doverci aggrappare per ogni dove. Io sono soddisfatto di essere riuscito nel mio intento e d’aver constatato che le mine, bene usate, servono a qualche cosa. Nansen ed altri dicono che servono quasi a nulla. Io ora ho la convinzione che se nell’estate prossima saremo bloccati, potremo con la polvere e col fulmicotone aprirci anche un canale ». Per la prima volta dopo l’arrivo alla baia, quella sera tutti cantarono allegramente un coro che echeggiò sotto la cappa del vasto silenzio bianco. Poi alla soddisfazione per il raddrizzamento della nave si aggiunse quella del felice ritorno del Duca dal suo riuscito giro esplorativo, e quella per la prima uccisione di un orso maschio, colpito da Cagni. La parentesi serena fu breve. Fra il 7 e l’8 settembre, mentre tutti dormivano, una scossa improvvisa accompagnata dal rombo di una nuova marea di ghiaccio scrollò la baleniera, la strinse e la spostò lasciandola sbandata come un gran trofeo naufragato a secco sopra cavalloni d’argento. La pressione era stata formidabile: dai fianchi offesi della carena penetrò l’acqua gelida della baia affrontata a stento con le pompe a mano e quelle a vapore dall’equipaggio accorso allo schianto mentre i cani urlavano dalle loro gabbie sulla riva quasi completamente occluse dal rimontare dei ghiacci. Frenare l’allagamento, liberare i cani, sbarcare viveri e materiali già caricati con tanta fatica, fu tutto un lavoro pesantissimo compiuto sotto l’ansioso imperativo della necessità di prevenire un eventuale naufragio. Bisognava assicurare uno scampo a terra con i mezzi occorrenti per lo sverno, pena l’insuccesso dell’impresa e forse la morte d’inedia. Malgrado l’affanno, tutti diedero mano al lavoro ordinatamente. Ma alla fine di quella terribile giornata gli uomini erano cosi esausti che, nonostante il pericolo di nuovi movimenti, si abbandonarono al riposo sulla stessa nave. Solo Cagni, pure stanchissimo, rimase a vegliare. « Non potrei chiudere occhio al pensiero che un istante di disattenzione potrebbe far perdere la vita a qualcuno dell’equipaggio ». Infatti gli uomini che dormivano al piano di stiva rischiavano la morte del sorcio. «Del resto che si-