— 390 — di carne fresca, senza vino e mancanti di sani alimenti, gl’ infermi languivano lentamente e prostrati di forze, logorati dalle febbri, miseramente spiravano. Nella città lo squallore ed il dolore erano generali. Gli abitanti subivano con rassegnazione e con mirabile fermezza i mali dell’ assedio : scarni, scolorati, disadorni dell’abituale sorriso, inquieti correvano per le vie, e giunti al limitare della laguna, spiavano il fuoco nemico, e confortati riede-vano alle loro case quando la batteria di S. Antonio, sotto i loro occhi vi rispondeva : questo èra il quotidiano pellegrinaggio di quei miseri. Frattanto un nuovo implacabile nemico si avvicinava. Era il colera, che il sette luglio visitava gli squallidi difensori della libertà d’ Italia. Poche furono le sue vittime dapprima, e passarono inavvertite ; ma alcuni giorni dopo il flagello trovava a mietere abbondantemente fra quegli abitanti oppressi dal dolore, annichiliti dal digiuno. In prosieguo le braccia mancarono a dar sepoltura ai morti. Nel giorno 6 luglio al mattino il capo delle ricognizioni militari riceveva avviso che nella seguente notte gli Austriaci avrebbero tentato di sorprendere il piazzale. La notizia era positiva e dettagliata ; parlava di un brulotto che sarebbe fatto saltare in aria vicino alla batteria, e che, approfittando del momento di stupore recato dallo scoppio nei difensori del forte, un' ardita mano di nemici lo avrebbe invaso. La nuova era precisa e perveniva dal campo nemico stesso. La commissione militare a pieni poteri fu subitamente avvisata, come prevenuto ne venne il capo del potere esecutivo. Il comandante del circondario fu invitato a prendere provvedimenti per isventare 1’ ardito disegno. Ma, sia che