— 50 — tudine di uomini, animati dall’entusiasmo, ma mancanti di disciplina e la più parte non armati. Fu ventura che nessun sospetto avesse l’autorità di quanto tramavasi : essa riposava tranquilla, poiché aveva saputo che la riunione in casa Manin nulla aveva concluso. Splendido sorgeva il mattino del 22 marzo; un inusitato movimento scorgevasi nella popolazione; le guardie civiche dei sestieri di S. Marco e di Castello, prevenute di adunarsi, si mostravano per le vie, alcune armate di moschetti, altre di sciabole, tutte animose e pronte ad adempiere il loro dovere. Mentre si disponevano questi preparativi, gli arsenalotti riuniti nelle loro officine ragionavano di quanto accadeva il giorno innanzi al colonnello Marinovich, e si compiacevano che fosse stata data una lezione all’ uomo, che tante volte li avea vituperati ed avviliti. Essi non attendevansi di vederlo comparire fra loro, e non pensavano che il colonnello, quantunque fiero e sprezzante, volesse ancora sfidare la loro collera. Marinovich, spinto dal suo perverso destino e dagli obblighi della sua carica, che gli prescrivevano di trovarsi al suo posto in quei momenti pericolosi, poco curando la vita che cento volte aveva esposta, recavasi in arsenale alle otto del mattino. Senza scorta, come soleva, e fidando di sé stesso, cominciò il suo giro pei cantieri, forse nell’ intendimento di riconoscere coloro che lo avevano il giorno innanzi minacciato. Al vederlo inoltrarsi, proruppe impetuosa in un baleno l’ira degli operai. Lo si accerchia, ma il colonnello si dibatte, snuda la spada per difendersi ed apertosi un varco tra gli assalitori, cerca nella fuga la sua salvezza.