polo veneziano sottostava a tante sciagure da potersi credere in ira a Dio : la stella d'Italia volgeva a un tramonto che parea privo d’aurora. Ma quegli che parlava a nome di Venezia, da cui ne aveva avuto il diritto, non era un animo capace di dubì volgari : nell’ esilio egli portò intatta la sua fede, come un tesoro ; e chiudendo gli occhi alla luce prima di vedere compiersi 1* impresa nazionale, prima d’aver potuto proferire il nunc dimittis, morì sereno, perchè quella fiaccola gli illuminava le oscurità del futuro. Salve, Daniele Manin. A te che sei fatto oggi tale, che il pensiero nostro ti giunge senza veli, non abbisognavano il marmo nè il bronzo. Che i tuoi figli ti amano, già tu sapevi : e sapeva il mondo quanta virtù albergasse nel tuo forte cuore. Non i monumenti, ma le gesta faranno cara e venerata la tua memoria nelle età più lontane. Ma noi, martire nostro, siamo lieti di aver fatto onore a noi facendoti onore, e ci sentiamo oggi più degni di ripetere di te ciò che d’ un altro grande fu scritto : « Apprendete da lui come si serva alla terra natia finché l’oprare non è vietato, come si viva nella sciagura. » Venezia, 92 marzo 1875. ALESSANDRO PASCOLATO.