neto alle funeste discordie, che forse sarebbero prevalse in causa della forma repubblicana adottata nel 22 marzo. Ed invero, se Venezia per te sue gloriose memorie preferiva il governo repubblicano al regio e ricordava i suoi quattordici secoli di libero reggimento quantunque aristocratico, per cui nessuna tradizione la legava a dinastie dominanti ; nelle altre città di terra-ferma il legittimo orgoglio delle stupende tradizioni venete non impediva, direi quasi, l’intuizione dell’ avvenire d’Italia, e sin d’ allora si considerava come avviamento all’ unificazione nazionale la fusione, propugnata anche in Lombardia, col regno subalpino. Oltre a ciò, il fascino, eh’ esercitava sull’ animo dei più lo spettacolo d’un re che, assieme ai suoi figli ed alla testa del suo esercito, avea proclamato l’indipendenza della nazione ; l’idea fors’anco del pericolo che alle provincie di terra-ferma sovrastava più ancora imminente che alla città delle lagune ; il timore infine che le forme repubblicane adombrassero il mondo diplomatico e lo stesso re Carlo Alberto, furono cause tutte che spingevano alla fusione. Fatto sta che fino dagli ultimi giorni di aprile questa tendenza prevaleva nell’opinione pubblica e maggiormente crebbe in forza quando le armi italiane subirono i primi disastri di Sorio e di Cornuda. La consulta veneta non sapeva por freno a questa aspirazione generale, sebbene Manin 1’ avesse posta a parte del pensiero del governo, di affidare, cioè, al parlamento, che doveasi in breve radunare, la facoltà di sancire le forme repubblicane o di fondersi col Regno subalpino. Siffatto divisamente non proveniva da interessi municipali o da soverchio affetto all’ esistente governo, che per mantenerlo si volesse sacrificare il bene d’Italia; ma rite-