— 146 — di Venezia una rimostranza in data del primo giugno, nella quale, dopo riassunte le condizioni miserande del Veneto, dimostravano la impossibilità di resistere all’ Austriaco ; e quindi unica salvezza la fusione col Piemonte. Esternavano la speranza che Venezia avrebbe aderito ad una tale misura resa oramai necessaria, e conchiudevano, che se per il 3 giugno Venezia non avesse preso una deliberazione, il giorno 4 dello stesso mese i delegati delle quattro città si sarebbero recati a Torino allo scopo di compiere la fusione delle provincie che rappresentavano. Questa lettera, dettata in parte dal timore di cadere nelle mani dell’ Austria, come infatti pochi giorni dopo avveniva, minacciava Venezia ed il suo governo di essere abbandonati dalle città sorelle di terra-ferma, anche quando perdurasse nel proposito di far votare da un’ assemblea quale dovesse essere il destino del paese. Manin ed i suoi colleghi non potevano accettare simile intimazione, poiché aderendovi avrebbero scapitato nella opinione dei Veneziani, più sicuri della propria sorte per la forza stessa della loro città. Quindi decisero di rimanere fermi nel fatto proponimento, e dimostrare che nessuna considerazione poteva smuoverli dal tranquillo e legale contegno che il governo erasi imposto. D’altronde riflettevano, che se la fusione avesse recato immediato vantaggio alle provincie venete e se Carlo Alberto accorresse col suo esercito in loro soccorso, certamente i Veneziani non tarderebbero a seguire l’esempio delle città di terra-ferma; ma invece il re, impotente a frazionare il suo esercito a fronte di un nemico divenuto superiore, non avrebbe adottato un modo di guerreggiare reputato pericoloso, anche quando l’esercito, abbandonando la linea del