— 150 — tigiani che in pochi illusi, o in coloro, che, fingendosi liberali e patriotti, cercavano ridestare lo spento municipalismo e far così gli affari dell’ Austria. Il decreto' della convocazione dell’ assemblea fu dovunque accolto con favore, e già sapevasi che il voto dei deputati sarebbe stato per la fusione. Nessun disordine di qualche entità ebbe luogo in questi giorni di aspettativa, e fino all’ aprirsi della discussione bastò la sola voce di Manin per contenere il popolo nei limiti del dovere. Egli lo istruiva dall’ alto del verone del palazzo governativo, e gli rammentava che una nazione che si rispetta deve usare del suo diritto nel fare una buona scelta dei suoi rappresentanti e che questi eletti soli avevano la facoltà di decidere dei destini della patria. La parola usata dal Manin, talvolta acerba, talvolta persuasiva, sempre concisa e robusta, fu sufficiente a sedare qualunque dimostrazione, qualsiasi tumulto, che le passioni eccitate, il timore del proprio avvenire ed anche le arti dei nemici cercavano suscitare nella città. Giammai uomo, quanto il Manin, in difficili e dolorose circostanze come quelle alle quali soggiacque Venezia, seppe conservare una popolarità, un prestigio, un’ autorità incontestata. Sapevasi da tutti che Manin, repubblicano di principi, avrebbe sacrificato la sua opinione al vantaggio del proprio paese ; e quantunque, se lo avesse voluto, potesse disporre di un partito possente per conservare in Venezia il governo repubblicano, nessuno dubitò giammai della sua onestà, del suo patriottismo. Egli seppe sempre mostrare quanto bene fosse in lui collocata la fiducia dei Veneziani. In quei giorni di generale costernazione, aiutato da Tommaseo e dagli altri membri del governo, prese acconcie misure perchè la tranquillità